venerdì 11 settembre 2020
Èfacile dimenticare chi, ancora vivo, non è più veramente vivo, costretto dalla malattia all'impotenza e addirittura all'incoscienza. Non sono poche le persone in questo stato, quasi tutti noi ne conosciamo o abbiamo conosciuto qualcuna. Da quanti anni Monica Vitti, un tempo attrice bella, brava, famosa e ricca e amata è tra di noi non essendo più tra noi? Intorno ai trenta, se non sbaglio. Ho parlato a lungo con lei in almeno tre occasioni, la prima tanti anni fa, quando raggiunse a cena in una trattoria romana gli amici genovesi che mi avevano portato con loro, accompagnata da altri genovesi tra i quali l'indimenticabile Luzzati. L'avevo vista qualche sera prima al Piccolo Eliseo diretta da Antonioni (forse la sua unica regia teatrale) quale protagonista di Sono una macchina fotografica, nei panni della vitalissima Sally Bowles, nella commedia che Van Druten aveva tratto da Addio a Berlino di Isherwood e che sarebbe stata di base al musical e al film Cabaret con Liza Minnelli. E ovviamente in L'avventura di Antonioni, che mi era parso da subito un vero capolavoro. Era la prima “diva” che conoscessi, e me ne stetti in silenzio ad ammirarla. La rividi per intervistarla, e abitava sulla collina Fleming, a Roma, nell'appartamento sopra quello in cui Antonioni languiva, colpito da un male lungo e incurabile, non diverso da quello che più tardi avrebbe colpito lei stessa.
L'avevo infine rivista quando, con Bernardino Zapponi, grande sceneggiatore e amico, pensammo a un soggetto bizzarro di scambio di ruoli sessuali di quelli che a lui erano cari, che “la Vitti” avrebbe voluto portare allo schermo avendo come partner Johnny Dorelli perché, ella diceva, Dorelli era tra i pochi che «aveva i tempi», che sapeva interagire perfettamente con le sue partner... Più tardi “la Vitti” sposò un giovane regista di cui tutti parlavano male giudicandolo un arrivista e di cui produsse o fece produrre un film, Roberto Russo, e forse non era un grande talento, ma che non fosse un profittatore lo dimostra che dal momento in cui “la Vitti” si ammalò ha continuato a starle vicino e aver cura di lei, con commoventi amore e assiduità. “La Vitti” fu celeberrima e pluri-premiata grazie al sodalizio con Antonioni (quattro film superbi: L'avventura, La notte, L'eclisse, Deserto rosso) e per commedie brillanti che fecero di lei una “colonnella” al pari dei quattro grandi della commedia all'italiana, Sordi, Tognazzi, Gassman, Manfredi, ai quali è bene aggiungere il nome di Mastroianni: la nuova carriera gliela aprì, senza difficoltà perché dalla commedia Monica era partita, Mario Monicelli facendone La ragazza con la pistola, un personaggio che rovesciava la logica maschilista del “delitto d'onore”. Poi la malattia e il silenzio. Cercai tempo addietro con due signore del bel mondo cinematografico romano di organizzare una piccola manifestazione pubblica per ricordarla, in occasione di un anniversario, ma le signore avevano meglio da fare che occuparsi di chi non conta più niente e non porta profitto.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: