mercoledì 28 settembre 2016
Quattromila chilometri in bicicletta sull'Himalaya, attraversando Nepal e India. Le protagoniste sono 500 monache buddhiste, che hanno abbandonato l'abito indossando casco protettivo, tuta e scarpe da ginnastica. Lo scopo della pedalata? Richiamare l'attenzione sullo sfruttamento di esseri umani. Le religiose lottano perché le donne nepalesi non vengano vendute ai trafficanti per essere avviate alla prostituzione; dopo le 9mila vittime e 40mila orfani causati dal terremoto del 25 aprile 2015, il fenomeno è molto aumentato. «Abbiamo saputo – spiega la monaca Jigme Konchok Lhamo, 22 anni – di ragazze povere vendute dai genitori perché non sapevano più come mandare avanti la famiglia». Per denunciare questa mentalità, hanno scalato le montagne in bicicletta, dalla capitale del Nepal Kathmandu alla città dell'India settentrionale Leh, incontrando abitanti dei villaggi, amministratori locali, leader religiosi. Con tutti hanno parlato di parità, coesistenza pacifica e rispetto per l'ambiente. «Dobbiamo uscire – ha aggiunto la giovane religiosa – e mettere in pratica le parole con cui preghiamo, come ci insegna il Gyalwang Drukpa». È il capo del lignaggio Drukpa, la loro scuola del buddhismo tibetano Vajrayana. Le monache studiano arti marziali e per questo hanno guadagnato il soprannome di "Kung Fu nuns". L'attuale Gyalwang, il 12° di questa corrente, ha partecipato all'impresa e ha il merito di aver riformato l'ordine valorizzando il ruolo delle donne, che erano relegate alle mansioni più umili e subivano maltrattamenti dai monaci maschi.
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