giovedì 17 novembre 2016
I costituzionalisti italiani, qualche giorno fa, hanno tenuto a Trento il loro annuale Convegno, su un tema ("Sovranità, rappresentanza, territorio") che dalle discussioni referendarie di queste settimane solo in apparenza è lontano. Non si è voluto infatti parlare d'altro, ma parlare alto: quelle tre parole, infatti, sintetizzano gli elementi fondanti di una polis, e pertanto hanno a che fare con la Costituzione e con la sua funzione, da un lato, di rassicurare e stabilizzare una determinata collettività e, dall'altro, di indicarle un orizzonte condiviso di significato.
Se la globalizzazione incide fortemente sia sulla categoria della sovranità (ma già Jacques Maritain aveva invitato a un uso sobrio del termine, poiché – in senso proprio – soltanto Dio è sovrano, e d'altra parte l'art. 11 Cost. parla, anche in questo con grande preveggenza, di «limitazioni di sovranità»), sia su quella del territorio (sempre meno centrale nell'esperienza quotidiana, basti pensare alla metamorfosi della nozione di cittadinanza, che ha attenuato molto i suoi legami con il suolo, cioè con un concreto e determinato spazio), è sulla categoria della rappresentanza che incombono le nubi più spesse.
L'esplosione dell'individualismo soggettivistico accentua uno dei tratti caratteristici della condizione contemporanea, la diffidenza, e con essa la propensione a non fidarsi di chi sta o dovrebbe stare al posto di me assente: nel campo della rappresentanza politica come in quello sindacale, o delle categorie economiche, la nozione è in crisi, con ricadute sulla tenuta della democrazia rappresentativa (calo della partecipazione elettorale e crescente distanza tra cittadini e ceto politico ne sono gli indicatori più evidenti).
Né appare seriamente praticabile la strada di sorreggere una democrazia rappresentativa zoppicante con la supplenza giudiziaria. Certo, la giustizia è amministrata in nome del popolo, ma la funzione di attuazione e svolgimento della Costituzione (lo si ripete spesso in questa rubrica) spetta in primo luogo alla mediazione parlamentare: il magistrato che applica la legge ha il potere-dovere di far intervenire il giudice costituzionale ove egli nutra dubbi sulla sua conformità alla carta fondamentale. Un'alternativa convincente neppure può essere trovata nelle forme di democrazia diretta attraverso la Rete: anzi, l'illusione che quest'ultima dà di essere presenti (anche a prescindere da competenza ed esperienza) rischia di accentuare la diffidenza e la distanza tra cittadini e rappresentanti. Nel dibattito di Trento si sono levate voci per una valorizzazione delle forme di democrazia deliberativa, in senso complementare a quella rappresentativa e a quella diretta. Potrebbe essere una suggestione da riprendere.
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