mercoledì 22 febbraio 2017
Quando si dice Liberty, oppure Art Nouveau, Modern Style, Jugendstil, Sezessionstil, a seconda dei luoghi e delle lingue, si indica un movimento – non solo architettonico – identificabile eppure pluriforme come i termini che lo designano. Capitale italiana del Liberty è Milano, pur con significative presenze a Roma, Torino, Palermo.
Uno dei meriti di Massimo Beltrame, autore di Milano. Viaggio nel Liberty (Meravigli Edizioni, pp. 96, euro 22), è di partire dalla Chicago School di Dankmar Adler (1844-1900) e Louis Sullivan (1856-1924) che, dopo gli incendi del 1871 e del 1874, diede un nuovo volto alla capitale dell'Illinois, gettando un seme che germoglierà soprattutto in Europa. Di Sullivan è la famosa definizione «form follows function», «la forma segue la funzione», che assegna alla decorazione non un mero abbellimento esteriore, bensì una simbiosi con la struttura degli edifici; e se la decorazione si ispira appunto a fiori, foglie, viluppi vegetali, ecco l'ambizione di collegare la razionalità dei nuovi palazzi – facilitata dall'uso dei nuovi materiali come il cemento armato, il ferro, la ghisa, il vetro – alla tradizione naturalistica.
Si spiega così la predilezione di Beltrame per i Magazzini Contratti di via Tommaso Grossi 8, a Milano, dei quali resta la sola facciata con le grandi vetrate e i peculiari ferri battuti, mentre sorvola (forse giustamente) sugli esempi più noti del Liberty milanese: la Casa Campanini, per esempio (che a p. 16 è attribuita a E. Pirovano, mentre a p. 54 si legge correttamente che fu costruita dall'architetto Campanini come propria abitazione), o anche la meravigliosissima Casa Galimberti di via Malpighi 3, a cui è dedicata una sola foto in scorcio. Per l'iconografia restano insuperate le foto di Fulvio Roiter nel volume Milano in Liberty, con testi di Guido Lopez (Edizioni Celip, 1993).
Beltrame distingue quattro periodi nel pur breve tempo del Liberty milanese, la quindicina d'anni tra il 1899 e il 1914. Poi venne la guerra, che tutto travolse, e dalla quale il Liberty riemerse imbastardito in neo-rococò o nell'eclettismo pasticciato degli epigoni di Camillo Boito e di Luca Beltrami.
Ma quanto Liberty c'è a Milano, e il libro si propone anche come guida per itinerari di quartiere in quartiere, fino alle ultime propaggini stilistiche della Stazione Centrale, che dal progetto di Ulisse Stacchini (1912) passò per svariate vicissitudini fino all'inaugurazione del 1931, quando il regime lasciò la sua impronta di monumentalità, che peraltro colloca la Centrale fra le più belle stazioni ferroviarie del mondo.
Peccato che i recenti interventi abbiano trasformato la stazione in un emporio commerciale senza riguardo per i viaggiatori, che normalmente desiderano arrivare in fretta ai binari e invece sono incolonnati su interminabili tapis roulant in diagonale, che triplicano il tempo di percorrenza. Per non parlare dei grandiosi schermi pubblicitari che hanno preso il posto degli orari degli arrivi e partenze, ora collocati lateralmente, costringendo i viaggiatori a percorrere il corridoio di testa dei binari in tutta la sua lunghezza.
Il Liberty milanese raggiunse l'acme con i padiglioni dell'Esposizione universale del 1906, dei quali sopravvive l'Acquario Civico, con ambizioni troppo superiori alla modestia delle dimensioni. A proposito di Esposizioni universali, la Torre Eiffel – che doveva essere provvisoria per quella del 1889 – è diventata il simbolo di Parigi, ricordata nel 1949 anche da una poesia del grande Sergio Solmi: «Ecco, nel cielo occiduo balena/ la perenne battaglia, inesauribile/ si fa e sfa la cangiante/ geografia delle nubi. A noi ne giunge/ solo un lamento vano... o lo stridio/ della gabbia che scende lungo i cavi,/ lungo gli aerei dedali d'acciaio/ incrociato, lungo la curva zampa/ scheletrica d'insetto "liberty"».
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