martedì 18 settembre 2018
Il calcio è fortunato, non ha bisogno di eroi. Ma di allenatori sí. Qualche volta. Avere Antonio Conte a piede libero è un lusso che non ci si può permettere, vista la qualità dello spettacolo che si mette insieme in Italia almeno quattro volte la settimana. È passato sul cielo del mercato più volte come colomba rasserenatrice - o avvoltoio, o cuculo a seconda dei punti di vista - ma non ha trovato un nido. Costa troppo - dicevano, mentre si dissanguavano per ingaggiare l'ultimo pedatore esotico di belle speranze e nessuna certezza. Nella realtà, le tentazioni erano tutte milanesi. Soprattutto di sponda rossonera, visto che i cinesi dell'Inter avevano indotto Fabio Capello a lasciare Suning per tranquillizzare Spalletti; al quale, proprio per rasserenarlo del tutto, rinnovavano il contratto fino al 2021. I tifosi dell'Inter, direi pazienti (ma non nel senso ospedaliero), di progetti a lunga scadenza se ne intendono e si incontrano oggi sui “social” scambiandosi idee su questo futuro programmato. Molte sono impubblicabili. Una su tutte fa effetto: «Se Spalletti fa mea culpa perché non fa anche le valigie?». Pura cattiveria, diciamo la verità. Resta, parzialmente protetto da un pareggio a Cagliari Rino Gattuso ( poteva anche essere una sconfitta, parola dell'onesto Ringhio) che continua ad avercela coi suoi, ma l'ira funesta di Gonzalo Higuaìn può addurre infiniti danni alla sua panchina, a lui medesimo, ai rossoneri. Ecco perché al Milan si parla di Conte che, a differenza di suoi omonimi, è noto per la forte personalità, l'autorevolezza che sconfina nell'autoritarismo, l'arte di vincere. E la conoscenza dell'inglese, maturata nei giorni del Chelsea. Furono i giorni del vino e delle rose, ma Abramovic desiderava non solo avere una squadra vincente ma un'Accademia docente. E preferì Sarri collaboratore spontaneo dell'Enciclopedia Treccani. Mi sono informato: Antonio non sta trascorrendo un anno sabbatico come il Guardiola 2012, allora subito imitato da numerosi allenatori disoccupati. Vive a Londra con la famiglia che in due stagioni ha assunto specificità londinesi. Forse attende che si liberi un posto in uno dei tanti prestigiosi club della capitale inglese ma sono convinto che un ritorno in Italia, non a Bologna, e neppure a Roma, gli piacerebbe. Se lo chiamasse il Milan. E quando dico Milan dico Scaroni, il presidente che anni fa, non ancora boiardo del parastato (Eni, Enel) inventò squadre italiane e greche di proprietà britannica. L'assembramento di prestigiosi “ex”, da Leonardo a Maldini, non ha cambiato molto la musica. Si dice che amino Gattuso, e questo è bello; ma l'amore per il Milan dovrebbe essere più alto e forte. Con Antonio Conte avrebbero un sicuro vantaggio: è uno che non ama essere amato. Rispettato e ben pagato sì.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI