sabato 24 ottobre 2015
Quando Mosè liberò il suo popolo dalla schiavitù d'Egitto lo portò ad attraversare il mare e poi il deserto. Furono anni e anni di lungo cammino prima di arrivare alla Terra Promessa. Questo viene in mente guardando le fotografie dei nuovi migranti che camminano lungo le strada d'Europa alla ricerca di un asilo, di un posto per dormire, per coprire i propri piccoli, per calmare la fame. È qualcosa che sembra non promettere fine, né misura, che invade il nostro vivere, anche modesto, ma tranquillo e non preparato. Lontano è il tempo anche per noi italiani nel quale siamo stati invasi dagli arabi da una parte e dai popoli del nord dall'altra, quando Attila distruggeva le nostre terre. Lungo le coste del mare Mediterraneo si vedono ben conservate le torri di difesa, dove le donne del posto confessano di sentire ancora il grido lasciato dalle loro antiche nonne: «Mamma li turchi!».Solo la memoria di un tempo lontano ci può ricordare come il nostro popolo sia una risultante di tanti arrivi dal mare e dalle catene dei monti, riuscendo, dopo lunghi conflitti e infinite difficoltà, a fondersi in un'unica gente pur dalle caratteristiche diverse. Forse per queste ragioni e opportunità siamo più capaci di comprensione e di accoglienza per chi oggi lascia la propria casa sotto i colpi dalla guerra e fugge per riprendere in mano la propria vita. Non voglio credere che sia solamente per la posizione del nostro Paese circondato dal mare che non ci mettiamo a costruire muri o tirare filo spinato come avviene in altre realtà europee. Pensiamo invece a quante opere di bene si occupano di questi uomini e donne di altre culture che vogliono passare e andare in una Terra Promessa che non sanno dove sia né se li accoglierà.Tra i problemi, non i più urgenti, ci sarà anche come ci si comprenderà, come questi figli, oggi nelle braccia dalle madri stanche dal lungo cammino, troveranno il modo di integrarsi e accogliere il nostro modo di vivere. Saremo noi a dover cambiare? Le leggi del cristianesimo in fondo sono più vicine alla loro povertà, alla pietà, alla ricerca di una giustizia distributiva che non conosciamo più. Non si tratta solo di ricollocare gli emigranti nelle terre che consideriamo di nostra proprietà, ma di trovare un luogo anche nel nostro animo per, accettare, questa che consideriamo un'invasione, come un'opportunità di condivisione per un futuro diverso.È un'apertura a un mondo finora tenuto lontano da noi, ma che ha certamente delle ricchezze interiori che forse potrebbero portare all'anima, spesso stanca, dei nostri popoli europei, una folata d'aria nuova. Qualcosa che ci potrebbe spingere a una ricerca storica e spirituale positiva, anche a rileggere il Vangelo con differente attenzione dove si parla di poveri, di malati, di perseguitati come lo era il popolo di Mosè che fuggiva il tiranno, si nutriva della manna e cercava un asilo e un po' di pace.
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