domenica 6 luglio 2003
Padre che sei misericordia, tu sai mietere il bene anche dal nostro male. Il tuo amore rende fertile ogni fiore" I giorni, a volte, sembrano tutti uguali e vorrei che finisse il mio dolore. Dirò senza vergogna: Ho paura; e tu mi aiuterai perché sai che io esisto. Un giorno capiremo il perché di ogni cosa, raccoglieremo cantando; ora ci abbandoniamo nel tuo amore fedele, o Padre, come preghiere in cammino. È domenica: lascio spazio a una preghiera che fiorisce da una giovane donna che, a suo tempo, aveva impressionato scrittori come Silone, giornalisti come Zavoli, scienziati come Medi. Io ho conosciuto suo fratello che è un noto medico; anche lei, Benedetta Bianchi Porro, voleva diventare medico, ma a 23 anni rimase paralizzata agli arti inferiori, mentre una malattia diffusa le avrebbe poi cancellato tutti i cinque sensi. Tuttavia per lei iniziava, in questo Calvario, una sorta di risurrezione spirituale, attestata anche da quel "cantico di Benedetta" che oggi abbiamo proposto. In questa giornata estiva, mentre le folle escono dalla città per assaporare i primi scampoli di vacanza, c'è
un mondo sotterraneo di sofferenza e oscurità che rimane nei palazzi. È il profilo dei malati, delle persone sole, degli emarginati. Forse anche dentro di noi, pur nella salute, si ramifica la mano gelida dell'infelicità e dell'insoddisfazione. Riascoltare le parole di Benedetta, che fu una sorgente di luce e di pace per tanti proprio mentre imperversava in lei il male, può diventare principio di speranza e coraggio. Diceva, infatti: «Gesù è venuto, mi ha consolata, mi ha accarezzata nei momenti di paura e di dolore più forte, proprio quando tutto mi pareva crollato: salute, studio, sogni, lavoro"».
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