giovedì 10 marzo 2022
Mezzo secolo dopo. Altre “guerre”, altro odio, e una stagione italiana che non va dimenticata, nella speranza che ci insegni qualcosa. Due interviste sul “Corriere”; entrambe di Aldo Cazzullo; a una moglie e a un figlio. Vicende tra loro vicinissime eppure così diverse, anche nel ricordo. La prima (27/2) è un lungo, dolente dialogo con Gemma Calabresi Milite, moglie del commissario Luigi, che ha appena pubblicato un libro con la sua testimonianza. Era giovanissima, allora… Chi teneva la pistola carica in tasca e chi invece, come il commissario, «la teneva smontata, in un cassetto, tra i maglioni. Diceva che tanto l'avrebbero colpito alle spalle». La seconda (8/3) è con Carlo Feltrinelli, figlio di Giangiacomo. La morte sotto il traliccio di Segrate? «Doveva essere un atto dimostrativo». Gli attentati dei Gap? «Erano gesti simbolici, dimostrativi». La signora Gemma racconta di quanto avesse desiderato la vendetta: «L'unico momento di pace erano i dieci minuti tra quando prendevo il Tavor e quando mi addormentato (…). In quei dieci minuti immaginavo di mettermi una parrucca rossa e infiltrarmi nei circoli dell'estrema sinistra, fino a quando avrei trovato qualcuno che si vantava di aver ammazzato Calabresi. A quel punto avrei tirato fuori dalla borsetta la pistola. E gli avrei sparato». Poi, «Dio è arrivato». E l'ha salvata. Carlo Feltrinelli, da parte sua, invita ad «andare oltre la visione caricaturale del miliardario sovversivo. È tempo di storicizzare quella stagione. Di riconoscere la densità umana e intellettuale di una persona che ha avuto diverse vite (…). Una vita libera, piena di intrapresa e di spirito rivoluzionario». Liberi tutti di giudicare, o non giudicare affatto. Ma potendo versare una sola lacrima, essa è per Gemma, che ai ragazzi che inveivano contro il commissario fuori dell'obitorio ricorda: «Puoi essere contento che lo abbiano ucciso, ma non puoi urlarlo in faccia alla vedova. La morte esige silenzio».
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