martedì 3 ottobre 2017
Boschi e foreste d'Europa crescono, ma non sempre e non dovunque è una buona notizia. Continua ad aumentare, al tempo stesso, anche il consumo del suolo europeo, causa urbanizzazione inarrestabile, con cemento e asfalto che "mangiano" quote sempre più ampie di territorio. Ma se grattacieli e selve si allargano, chi ne paga le conseguenze? Ovvio, soprattutto i terreni agricoli, compresi purtroppo quelli di maggiore "qualità" ambientale, che arricchiscono con la loro presenza la biodiversità e il paesaggio.
Allo scadere di un'estate torrida, che ha rilanciato gli allarmi sui mutamenti climatici e sui loro effetti nefasti (si pensi solo al tragico disastro di Livorno), è stato reso noto nei giorni scorsi un notevole – ma poco notato – Rapporto curato dall'Agenzia europea dell'ambiente (Eea). Si intitola Paesaggi in transizione e in 84 pagine traccia un dettagliato bilancio di 25 anni di utilizzo del suolo nel Vecchio Continente. Ricco di informazioni e di indicazioni per il governo del territorio, sia da parte di Bruxelles che delle capitali dei Paesi membri.
Emerge ad esempio, come accennato, che l'Europa è sempre più ricca di piante: ogni 100 chilometri quadrati ce ne sono ben 42 coperti da alberi. E se fra il 1960 e il 1990 l'aumento è stato di circa 4 milioni di ettari (una superficie pari quasi a quella della Svizzera), anche negli anni successivi l'incremento è proseguito. In molti casi è stato per scelte oculate di riforestazione e di tutela di aree di particolare interesse. Ma non di rado la riconquista di spazi alberati è avvenuta per l'abbandono di terreni coltivati limitrofi. Oppure è il frutto di piantagioni intensive destinate a sfruttamento successivo, con conseguente riduzione della varietà delle specie e impoverimento dell'ecosistema naturale. Di fatto, solo meno del 3% del patrimonio boschivo può essere considerato foresta "primaria", al riparo da interventi o modifiche opera dell'uomo.
Le note dolenti arrivano quando si affronta il fenomeno tuttora in aumento dell'urbanizzazione e dello sviluppo di infrastrutture, che insieme acuiscono il consumo del suolo e impattano negativamente sulla fisionomia originale del paesaggio. I mutamenti del territorio sono in massima parte causati dall'incremento delle aree cosiddette "artificiali" (abitazioni, strade e ferrovie, centri commerciali e aree industriali), che soltanto nell'ultima parte del periodo osservato, tra il 2006 e il 2012, hanno un po' rallentato il ritmo di crescita. Fa pensare il confronto fra la superficie complessiva occupata dalle città europee, che dagli anni '50 ad oggi è aumentata del 78%, e la popolazione complessiva dei centri urbani, salita non oltre il 33%.
Continua invece inesorabile la riduzione delle aree coltivabili, spesso di buona qualità e collocate in aree favorevoli. Il calo registra una velocità costante: circa 100mila ettari l'anno in meno, a causa dell'espansione urbana, del maggiore ricorso all'agricoltura intensiva e dell'abbandono dei terreni. Tutto questo mentre, si legge nel Rapporto dell'Agenzia, «la terra fertile è una risorsa fondamentale per la produzione di cibo e di biomassa», ma anche per la salvaguardia dei paesaggi e per la forte vocazione turistica di molti di essi.
Interessante e ricca di spunti la parte propositiva del documento, che ha tra l'altro il pregio di una bibliografia imponente (quasi 200 titoli) e ben aggiornata. La "ricetta" di fondo è quella di un uso realmente sostenibile della terra, da considerarsi, in Europa come nel resto del mondo, una risorsa limitata e non in grado di sopportare a lungo impieghi squilibrati. Per elaborarla occorrono tuttavia maggiori sforzi. Anzitutto sul piano della conoscenza di quanto avviene nelle diverse aree e nazioni del Continente, riguardo all'impiego effettivo dei suoli urbani e rurali. E poi aiutando gli europei a capire che la qualità sociale e ambientale dei loro territori è un interesse altrettanto primario dello sviluppo e della solidità dell'economia.
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