venerdì 30 marzo 2012
Non sono Silvio Berlusconi ma avrei anch'io – come ha detto lui alla fine – «qualche osservazione da fare». Innanzitutto contro la Sudditanza Psicologica o Sindrome Catalana. Mercoledì sera Allegri doveva accorgersi di un fatto straordinario: il Barça aveva paura. Non era lo Squadrone Impietoso raccontato dai favolieri. Aggredito fin dai primi minuti - com'è successo - con maggior concentrazione poteva essere battuto: Robinho si mangia spesso i gol, ma in campionato uno su cinque riesce a farne, e bisognava fargli capire che il Barça non è il Cesena; e in ogni caso valeva la pena insistere. La compagine di Guardiola dava segni di smarrimento. Invece è scattata la contropaura, meglio non sfidare il destino - avranno pensato i rossoneri - meglio contenerli: ed ecco il decantato “capolavoro difensivo”, quello che sicuramente non è piaciuto a Berlusconi. Ammetto che segnando subito (con Robinho, Boateng, Ibrahimovic: palle-gol sprecate) si correva il rischio di scatenare una reazione pericolosa, di svegliare il Messi dormiente, e magari di vedere una partitissima vera e non presunta: ma la Coppa dei Campioni (o quel che ne resta) non premia certi atteggiamenti prudenziali, soprattutto quando il match di ritorno fa sì paura, se non altro perché si gioca al Camp Nou, dove gli azulgrana si trasformano in giganti (da nani - fisicamente - che sono) e in eroi, salvo incontrare una vera squadra italiana che - come l'Inter di Mourinho - t'incatena da metà campo in su. È a Barcellona che il Milan dovrà offrire una prova difensiva eccellente e capolavori in contropiede. Ne è capace, si prepari a chiedere a Ibrahimovic la partita della vita. Quella di mercoledì è stata poco più di una comparsata. Un'osservazione mia, non berlusconiana, è relativa alla condiscendenza esibita nei confronti di Guardiola quando se l'è presa col terreno di gioco: una scusa, l'Europa non è piena di giardini e fascinose oasi erbose, e il campo di San Siro è una ciofeca da prima che Guardiola vi giocasse come protagonista del campionato italiano. Lo conosceva bene. La ben nota correttezza - non ironizzo - gli ha impedito di prendersela (giustamente) con l'arbitro, sennò sarebbe diventato un Mourinho qualsiasi; ma chi conosce il calcio sa - tanto per cominciare - che lo scivolone di Messi sul calcio di punizione non era un problema d'erba ma di cuore: abbiamo scoperto - ma bastava ricordarselo con la maglia argentina - che la Pulce Atomica non è un mostro ma un uomo. E che pur essendo Messi si può temere una squadra che da tempo non riesci a battere, una squadra che ha una storia prestigiosa: un Milan che vinceva le Coppe prima del '75, data del risveglio barcellonese. Morale della favola - che non è ancora finita e al Camp Nou potrebbe diventare leggenda - sarà bene che le minacciate “osservazioni” a Allegri e compagnia, Berlusconi le rivolga davvero. Se non altro per motivarli non solo - e non tanto - a una prova difensiva ma a un'esibizione degna del suo Milan titolare di prestigiosi record internazionali. E di una rosa cospicua e talentuosa.
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