sabato 8 febbraio 2020
Ieri ("Corsera", p. 25) Ester Palma ricorda il quattordicesimo anniversario della uccisione di don Andrea Santoro, quando il colpo mortale trapassò il suo cuore e segnò anche il libro di preghiera che aveva nelle sue mani. Grande e bello, mercoledì sera, il ricordo di Lui a Santa Croce in Gerusalemme a Roma e ovviamente anche a Trabzon, cioè a Trebisonda, in quell'Asia Minore, la "sua" Turchia, dove - diceva - ha germogliato la Chiesa ai suoi inizi, e alla quale si era sentito chiamato. Ricordi personali. L'ho conosciuto e incontrato, più giovane di me, ma ho sempre visto in lui, e vedo ogni giorno di più che così non l'ho visto soltanto io, una talmente piena "autorevolezza" che si imponeva a tutti, senza tuttavia opprimere nessuno, e questo è un fatto, nella Chiesa e anche altrove, molto raro. Ascoltava tutti come fratello, ma le sue risposte, semplici e chiare, erano un modello anche di modestia che incantava e convinceva con paternità immediata.
Per provarne l'efficacia, basterà – a chi legge – andare ai suoi scritti pubblicati postumi, e soprattutto le sue "preghiere" e le sue "Lettere". Saggio, non invadente, naturalmente autorevole, mai schiacciante, fraterno, ma come una replica di paternità gratuita. Capita, anche e forse di frequente nella Chiesa, di sentire qualche voce discordante su tante persone, e per la verità ne ho sentite e ne sento – volente o nolente – tante, anche importanti! Mai in tanti anni, sentita una a suo proposito. Obbediente, ma capace anche di far capire e di dirsi non d'accordo su cose opinabili... Per me, personalmente, una sua lettera autografa di solidarietà, in un momento ecclesialmente tra i più tristi della mia vita, fu una consolazione fraterna che mi parve venire dal Cielo. Senza giudicare nessuno, una spinta a vivere di verità e libertà di coscienza illuminata dalla Parola del Signore. Qui, per tutti, la vera santità.
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