sabato 29 maggio 2010
Il giardino delle rose di Roma offre profumo e colori al suo pubblico, spinto da un vento leggero di una estate precoce. Famiglie intere, bambini in carrozzina, oramai abituati a dividere la loro presenza con quella degli adulti, percorrono i sentieri. I più grandi saltano sui prati mentre chi cammina appena va da una pianta di rose all'altra ad aspirarne il profumo, come piccole api. È una festa delle varietà delle piante meno conosciute, dalle tonalità inventate della fantasia di esperti amatori, perché non basta usare la tecnica per ottenere quelle sfumature iridescenti, ci vuole costanza, pazienza infinita, fede nelle proprie capacità e soprattutto amore. La natura vuole essere amata come qualsiasi altro essere che nasce e vive sulla terra. Rosa, gialle, lilla, color mattone, alzano il bocciolo verso l'alto o aprono labbra carnose al sole come nel giardino di Donnafugata, nella terra siciliana del principe di Lampedusa. Più in alto ci sono le rampicanti con i petali sottili dei fiori a cespuglio, una attaccata all'altra in un chiacchiericcio fitto e profumato, o nella pompa odorosa di una cascata vellutata dal colore di fuoco. Davanti al cancello del giardino si alza un monumento di marmo bianco. Dall'alto, dopo alcuni gradini, dopo un gruppo di soldati, di cavalli impennati e di bandiere al vento, ecco un uomo avvolto in un mantello che sembra meditare. «Chi è quello?», chiede il ragazzo al giovane padre. «Non vedi? C'è scritto: a Giuseppe Mazzini, la Patria». «È arrabbiato?». «No, pensa, guarda alla repubblica che ha sempre sognato. È uno degli uomini del nostro Risorgimento. Sai cos'è?. Ho visto sul libro, ma come ti spiegheranno la ricorrenza della nostra unità d'Italia? Se fossi più grande ti farei leggere tanti libri su Mazzini. Mi viene in mente uno scritto di Ettore Rota dove descrive quest'uomo di pietra, che sta qui sopra, come l'apostolo di un'idea, non un uomo di partito. Lo considera un educatore che non concepisce la politica dissociata dalla morale, che vorrebbe riformare le coscienze anche se deve farle camminare sulla strada della rivoluzione. Nel giudicare gli uomini del suo tempo, Mazzini ha come pietra di paragone il proprio ideale, dimenticandosi che le proprie opinioni troppe volte dovranno affrontare la tirannia insuperabili delle contingenze e della realtà. Egli sentiva l'umiliazione delle attese forzate verso quella unità d'Italia che sognava, causa gli inevitabili compromessi internazionali per conquistare l'attenzione dei Paesi più forti, come l'intervento nella guerra di Crimea. Mazzini guardava a Cavour che era ritornato dal Congresso di Parigi a mani vuote avendo riportato un successo solo diplomatico. Visti oggi, Cavour e Mazzini, due sistemi diversi per uno stesso finale, ci sembrano quasi costretti dai fatti reali a camminare assieme. Così noi li troviamo condividere le stesse pagine della nostra storia. Mi pare ancora difficile, caro ragazzo, che tu possa capire, è sufficiente per oggi che nel guardare questo personaggio così in alto, tu lo riconosca come un nostro valoroso antenato. Ora vieni, andiamo a vedere le rose». «A me non piacciono, voglio vedere i girasoli».
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