venerdì 19 marzo 2021
Tra i personaggi che ho conosciuto e ai quali ho voluto bene, ha un posto particolare Mario Schifano, perché tanto di lui si è parlato quando era in vita e perché oggi forse è
più raro che qualcuno ne parli. Nato a Homs, Libia, nel 1934 da una famiglia di siciliani, morto a Roma nel 1998, lui vivo i giornali ne hanno scritto quasi quanto di Pasolini, e quelli più "borghesi" con lo stesso astio e cattiveria o con pari diffidenza. Si è molto discusso anche della sua arte, poiché, pittore ma anche instancabile sperimentatore, fu perfino plagiatore di sé medesimo (il mercato delle copie dei suoi quadri, dei finti Schifano, fu floridissimo, e a volte fu rifornito da lui stesso!), è stato un accanito consumatore di droghe, senza mai nasconderlo e finendo per questo in carcere più volte. Genio e sregolatezza? Ebbene sì, perché Schifano è stato un grande pittore e un grande novatore (le "tele computerizzate", la pratica magistrale della serigrafia!) e anche un grande fotografo. I suoi scatti americani, fatti per preparare un film che non ha mai fatto, non hanno nulla da invidiare a quelli che fece Antonioni al tempo di Zabriskie Point o a quelli più assidui e incantati di Wim Wenders. Le sue sperimentazioni visive non hanno nulla da invidiare a quelle di Andy Warhol. È stato anche artefice e collaboratore dei più arditi musicisti del suo tempo per concerti-spettacolo indimenticabili. Ed è stato infine – lo dico da critico cinematografico esigente – un grande regista, ma di un cinema "sperimentale" e cioè fuori dalle narrazioni codificate, da elaboratore di nuove visioni pari soltanto per l'originalità e modernità e necessità di un nuovo linguaggio a quelle del cinema di Carmelo Bene. Sono titoli da ricordare: Umano non umano, Satellite, Trapianto consunzione e morte di Franco Bròcani, altri. Quando in gioventù, sentendomi una specie di giustiziere sessantottino – spesso ingiusto e spesso no – del sistema cinematografico italiano, scrissi un pamphlet intitolato Il cinema italiano: servi e padroni, tra le poche cose che vi salvavo c'erano i film di Carmelo e di Mario, dei quali divenni amico perché furono loro, incuriositi da quel che avevo scritto, a volermi conoscere... Al tempo di "Linea d'ombra", ai suoi inizi, osai chiedere in dono a Schifano un quadro, come finanziamento amicale, perché eravamo davvero molto poveri. Avevamo peraltro usato senza chiedergliene l'autorizzazione alcune sue immagini per le copertine dei primi numeri... e lui
mi mandò invece un sontuoso assegno scrivendomi che il quadro io non avrei saputo piazzarlo, che mi sarei fatto fregare. Di Umano, non umano un episodio riguardava Sandro Penna, e voglio ricordare che la nostra Rai mai aveva pensato a intervistare un poeta che è stato tra i più grandi del suo tempo. C'è in questi giorni a Roma una grande mostra dedicata all'opera di un maestro dell'avanguardia internazionale degli anni tra i Venti e i Cinquanta, Alberto Savinio. Cosa si aspetta a onorare la memoria di Mario Schifano, un grande artista che è stato molto di più che un grande personaggio?
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