venerdì 3 settembre 2021

È buon uso d'estate rileggere un classico, e quest'anno sono tornato a uno dei miei romanzi più amati e più disturbanti, Giuda l'oscuro di Thomas Hardy. O, per reazione alla cupezza dei tempi e alla mia personale, al Circolo Pickwick di Dickens, che già una volta fece da contrappeso alla durezza d'un anno di giovanile e durissimo confronto con la realtà. Ma non sono certo autori o libri dimenticati. Troppo dimenticato mi pare invece uno scrittore italiano (che avrei forse potuto conoscere e che rimpiango di non aver conosciuto, ma ho almeno conosciuto suo figlio, valente scrittore della nostra avanguardia, Tommaso Ottonieri). Parlo di Mario Pomilio (1921-1900), non troppo amato dalla critica “di sinistra” per i suoi dilemmi non solo sociali, ma anche filosofici e storici nonché religiosi. Un “minore”, lo dicevano, e quanto sbagliavano! A Pomilio devo il ricordo di un verso dell'Adelchi che continua a perseguitarmi: e contro la cui durezza continuo a ribellarmi: «Sulla terra non resta/ che far torto o subirlo». Pomilio lo cita nel più manzoniano dei suoi scritti, Un Natale del 1833, ma di lui ho scoperto da poco, mea culpa!, un ampio romanzo del 1965 che mi sembra tra i più significativi e importanti di quegli anni, La compromissione (lo editò Vallecchi, lo ha ristampato nel 2020 Bompiani a cura di Giuseppe Lupo). In prima persona, vi si ricostruisce la vita dell'Italia del dopoguerra, in una chiave decisamente personale e politica. Il protagonista, ex partigiano, milita prima nel Partito d'azione e poi nel Psi in continua discussione e insoddisfazione nei confronti dei suoi amici e rivali comunisti, ma s'innamora della figlia di un democristiano abile e convinto, e la sposa. La storia del tempo non è stata di rose e fiori, tra guerra fredda, Nato, Corea, i “partigiani della pace”, gli imperialismi stalinista e americano con tutti i loro ricatti e le loro menzogne. Rapidamente gli ideali si appannano, le lotte interne si acuiscono, il ritorno alla normalità si fa imbarazzante: a una vita quotidiana fatta per forza di “compromissioni”. Pomilio ha scritto forse il romanzo più rappresentativo di quegli anni di “normalità”, con precisa e sincera, minuziosa analisi e autoanalisi... Un grande “romanzo storico” che finisce auspicando una nuova generazione alla quale augura di saper resistere meglio e che davvero c'è stata, quella del '68, il cui rientro nell'ordine è stato molto più veloce e plateale.

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