mercoledì 12 febbraio 2014
Mario e Alberto sono i miei figli. Non è stato facile per loro avere per padre uno che ha amato più l'arte che la parte. Così, per i miei errori che credevo rigore, da anni non viviamo più insieme. L'uno fatica a vivere, per troppo studio, l'altro per troppa generosità. Due facce di una medaglia alla quale mi pare di assomigliare. Ricordo quando erano piccoli: alla sera tiravamo giù la tapparella e, al buio completo, raccontavo storie che inventavo in rima; si era sul lettone e loro mi stavano uno per parte, come due angioletti custodi o le due ali di un povero icaro condominiale. Mario ha un numero imprecisato di lauree, Alberto colleziona i più svariati tipi di esseri umani: il loro bilancio conosce solo la voce del dare, all'avere sostituiscono l'essere, di cui è stato campione, però forse solo nella scrittura, il presessantottino Erich Fromm. Avevo piantato due abeti che portavano ognuno il nome di un bimbo. Poi un abete morì e il superstite ebbe nome Mario-Alberto. Così le due tartarughine che divennero grosse come panini imbottiti. A quel tempo, come si dice qui, saltavo i fossi per il lungo coi miei sogni. Ora siamo uno per parte ma so che ci sarà un giorno in cui, come i tre angeli della Trinità di Rublev, voleremo insieme, più su.
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