mercoledì 13 marzo 2013
Ci sono libri scritti da e per chi sguazza nei libri, voglio dire nell'erudizione, che è una cosa bellissima per gli eruditi e gli aspiranti tali, e per tutti è comunque un paesaggio tipo wunderkammer (camera delle meraviglie), gioco di specchi o altro, stereogramma o falso rilievo come quella specie di doppio cannocchiale che, da bambini, faceva vedere in tre dimensioni le cartoline di laghi e di montagne che si infilavano laggiù in fondo. Maxime se l'erudizione si affisa al barocco, secolo, stile e scrittura per eruditi quant'altri mai, e che, peraltro, personalmente molto amo per quell'improntitudine di stravaganza, non scevra d'autoironia, ch'è sua e che, rara com'è, è un piacere trovare in un libro come Giambattista Marino. La mula del Cavaliere, scritto da Marzio Pieri e Maurizio Cecchetti (Medusa, pp. 312, euro 18,50). È un libro per chi ha tempo, tempo da perdere, e non c'è modo migliore di perdere tempo che leggere un libro erudito per eruditi ed erudiendi, per poi accorgersi, a lettura ultimata, che non era tempo perso. Marzio Pieri è autorità massima tra i marinologi, avendo anche curato un'edizione dell'Adone, poema lungo tre volte la Gerusalemme Liberata, e ben più aggrovigliato e funambolico e iperfantastico del capolavoro di Torquato Tasso, il quale (Torquato) aveva l'attenuante d'una lucida pazzia. E siccome chi va con Marino impara a marineggiare, Pieri scrive proprio come l'antonomasico Cavaliere, e dà gusto sentirlo duettare con il Cecchetti coautore a proposito di Testori e di Arbasino: «Mio caro Cecchetti, l'un barocco si ispira alla grazia irresponsabile del clown, l'altro, il tuo, gli si contrappone con la gragnuola vendicatrice del pugilatore. Quando nascesti io ero ai miei inizi di studente universitario e, presto, di spadaccino filo-marinista. Testori, il tuo Testori, era esploso da poco ma io fui conquistato da Arbasino». Dichiarazione di voto: personalmente non ho mai amato la macelleria di Testori, ed ebbi anche modo di dirglielo garbatamente di persona. Per dire fino a che punto arriva l'erudizione e come si sopravvaluta il lettore: nel risvolto di copertina, che dovrebbe invogliare alla lettura, si legge: «Giambattista Marino (Napoli 1569-1625) fu "il re del secolo barocco" (De Sanctis) epperò ricusato dal Barocco ufficiale. Gli è attribuito l'Adone scritto in rei veritate dal Padre Pozzi». Oltre al marinistico "epperò" si dà per scontato che ognun sappia che il massimo interprete di Giambattista Marino è l'eruditissimo filologo svizzero, allievo di Gianfranco Contini, padre Giovanni Pozzi (non esente da un côté sulfureo), il quale ha riscoperto e notomizzato il Marino a uso dei contemporanei. Dopo la "Premessa a guisa però di congedo" di Marzio Pieri, Maurizio Cecchetti si distende in un Effetto nocebo di centoquaranta pagine, in cui non solo squaderna le sue convinzioni su Testori, bensì passeggia tra i falsi Modigliani ripescati a Livorno nel 1984, le dubbiose fusioni in bronzo delle ballerine di Degas e altre fiammeggianti intuizioni critiche. Riprende il balzo Marzio Pieri che, dopo un'asciutta biografia di Marino (il quale ebbe vita tumultuosa e chiacchierata, e incappò nell'Indice), illustra i pittori del Cavaliere, che ebbe contatti con Caravaggio e fu valorizzatore di Pussin. Chiude il volume una selezione di lettere (gustosissime) del Marino stesso, con qualche dimenticato poemetto burlesco, a suggellare l'eccentricità d'un libro che, oltretutto, è corredato di sapienti illustrazioni intertestuali.
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