mercoledì 18 luglio 2018
Ho sempre avuto simpatia (se così si può dire) per Marco Aurelio perché da ragazzo mi è capitato in mano Il libro dei ricordi, di Marco Aurelio Imperatore, un volumetto della Biblioteca Universale Sonzogno, prefato e annotato da Angelo Crespi, sul quale mia madre aveva studiato. Rimasi colpito dalla serena compostezza mentale dell'Imperatore, mi intenerirono le note a margine e gli appunti di mia madre studentessa, datati 7 luglio 1926. Scriveva la mamma, diciannovenne, con la sua bella grafia corsiva: «Marco Aurelio si trova al tramonto dell'idea politeistica. Il paganesimo lascia nel suo cuore un vuoto che fa di lui un religioso senza religione». Non mi sono mai separato da quel volumetto che, a suo tempo, ho amorosamente rilegato. Dentro, secondo un'abitudine imparata da Michelangelo Peláez, ci ho messo tre ritagli giornalistici: un elzeviro di Panfilo Gentile, pubblicato sul "Corriere" il 16 aprile 1969, in cui, sulla scorta di una nuova traduzione dei “Ricordi” firmata da Carlo Carena, l'Imperatore viene scagionato dall'accusa di persecutore dei cristiani e, all'opposto, dall'annessionismo di Tertulliano che l'aveva addirittura chiamato protector christianorum; ho poi una recensione di Nicola Abbagnano alla stessa traduzione di Carena, pubblicata sulla “Stampa” il 13 febbraio 1969, con belle citazioni aureliane: «Uno è il mondo che risulta da tutte le cose», diceva Marco Aurelio, «uno è il Dio che le pervade, una la sostanza, una la legge, una la ragione comune a tutti gli esseri pensanti, una la verità. Una quindi sarà la perfezione di tutti gli esseri che hanno un'origine comune e che partecipano della stessa ragione». Il terzo ritaglio è una recensione di Margaret Atkins sul “Time Litterary Supplement” del 6-12 aprile 1990, in cui viene discusso lo stoicismo particolare di Marco Aurelio, che forse non è propriamente stoicismo. Con questi precedenti, ho dato il benvenuto all'Elogio di Marco Aurelio di Antoine-Léonard Thomas (1732-1785), pubblicato da La Vita Felice (pagine 148, euro 11,50), in cui lo scrittore francese ricorre all'espediente di immaginare che, durante il funerale di Marco Aurelio, si sia fatto avanti il vecchio filosofo Apollonio, che fu maestro dell'Imperatore, per tesserne le lodi. Thomas era uno specialista in elogi: ne fece per il Maresciallo de Saxe nel 1766, per Sully nel 1773, ma quello per Marco Aurelio, pronunciato nell'agosto 1757 all'Accademia di Rouen, resta giustamente il più famoso. L'Apollonio di Thomas, cita direttamente alcuni passi di Marco Aurelio. Per esempio gli fa dire, come nella citazione di Abbagnano: «Per tutte le anime non v'è che un'identica ragione, come per tutte le cose non v'è che un'unica luce. Se dunque esiste una sola ragione, esiste anche una sola legge. Le genti di tutti i Paesi e di tutti i secoli sono dunque soggetti agli stessi princìpi giuridici. Essi sono cittadini di una stessa città, e questa città è l'universo. Ho visto allora crollare attorno a me tutte le barriere che separano le nazioni: e altro non vidi che un'unica famiglia e un unico popolo». Parole che vengono dalla classicità (Marco Aurelio è morto il 7 marzo 161), quanto mai attuali in questo nostro tempo di sovranismi, di muri e di respingimenti. Il testo francese originale fa percepire qualche menda nella traduzione di Luigi Lunari. A p. 19, per esempio, “dû” è tradotto “dato” anziché “dovuto”, forzando il senso della frase: «Marco Aurelio – traduce Lunari –, in età matura, teneva conto di tutti quelli ai quali, nella sua infanzia aveva dato l'esempio di una qualche virtù». Più correttamente, «teneva conto di tutti quelli ai quali, nella sua infanzia aveva dovuto l'esempio di una qualche virtù», cioè era debitore di esempi virtuosi. A p. 45, il semplice “Eh quoi!” di Thomas è tradotto con il divertente “Ecchédiamine!”, con un superfluo accento sulla “é”. Luigi Lunari merita comunque gratitudine per averci fatto conoscere il settecentesco Thomas. Va ricordato, peraltro, che Marco Aurelio i suoi “Pensieri” (o “Ricordi”) li scrisse in greco.
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