venerdì 19 giugno 2009
Squilibri. Ieri ("Repubblica", pp. 1 e 48/49) due malintesi nella conversazione tra Eugenio Scalfari e il cardinale Carlo Maria Martini. Titolo: «Il cardinale: un Concilio sul divorzio». Però Martini nel testo parla sì di un Concilio, ma con tema «il rapporto della Chiesa con i divorziati». Differenza grande: così infatti non tocca «la verità da credere», ma le conseguenze pastorali che nel cammino della storia da essa possono derivare. Sempre lì, circa il discorso su «verità» e «carità». La verità-fede senza carità " è parola di Dio: 1 Cor 13 " «non serve a niente», tanto vero che anche gli angeli ribelli hanno piena fede, ma una carità che per programma trascuri la verità-fede e la sua ricerca, non è e non sarà mai quella di Cristo e della sua Chiesa. Chiarire il malinteso è fondamentale, anche sapendo bene che alla fine, quando il solo giudizio che conta è quello di Dio, il tema unico è la carità, che però, se inconsapevole, proprio allora viene aperta alla verità-fede: «Quello che avete fatto a loro, lo avete fatto a me!» (Mt. 25, 40). Con queste due implicazioni, ovvie per il cardinale Martini, ma non tali per Scalfari e per i lettori di "Repubblica" troppo abituati al gioco dell'opposizione tra cattolici, di vertice o di base fa lo stesso, il dialogo è chiaro e utile. Se mancano, si ha solo dialettica unilaterale che approfitta dell'altro, e senza che questi possa veramente chiarire" E ieri ha avuto pochissimo rilievo in pagina la «nota» della Santa Sede circa l'illegittimità permanente degli atti sacramentali dei lefebvriani: Messe valide, ma tutte illegittime. Tanti strilli a gennaio, tanti silenzi ora!
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