domenica 28 marzo 2021
La Messa era finita, il defunto benedetto, la chiesa si svuotava. Io avevo un nodo di pianto in gola e volevo uscire in fretta: basta. Troppo dolore per quell'amico, partito troppo presto. Lo rivedevo la scorsa estate, abbronzato, ridente, al tavolo di un rifugio in montagna: quanto era vivo. E adesso, quella cassa di legno invece non la volevo vedere: andarmene senza voltarmi, dovevo. Ma, controvoglia, ho girato la testa. Avanzava lenta la bara, appena ondeggiando ai passi dei sei amici che la reggevano. Ho guardato i volti di quegli amici, e di nuovo ho dovuto fermarmi. Erano i tuoi compagni d'Università, e poi della vita intera. Nella fila dei tre, dalla mia parte, ho notato, nel procedere lento, una postura simmetrica: la spalla sinistra a reggere il feretro, la mano destra a tenerlo fermo, la fronte corrugata nello sforzo. Pesava davvero così tanto la bara, per sei uomini forti? Eppure, come parevano gravati quei sei, quasi sotto lo sforzo di un carico insostenibile. Non saranno più esattamente gli stessi, gli uomini che reggono la bara di un amico. Sanno, ora, ciò che non sapevano. Rideranno ancora, certo. Ma non saranno mai più come quando, ragazzi, con quell'amico giocavano a pallone - credendo di essere giovani, per sempre. Erano però belle, quelle loro facce, più belle di quanto le ricordassi. Mai come nel dolore, li avevo visti così uomini.
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