giovedì 4 dicembre 2014
«Se lo Stato rompe il patto di segretezza con le madri»: così martedì ("Repubblica", p. 31) Chiara Saraceno, nota sociologa con la quale mi trovo quasi sempre in disaccordo. Stavolta no. Lei contesta l'art. 7 di una legge che per «ampliare la possibilità di rintracciare i propri genitori naturali» conterrebbe la possibilità che, anche se la madre naturale non ha revocato la richiesta di rimanere anonima, i Servizi Sociali possano contattarla «per verificare se intenda mantenere l'anonimato», cosa consentita per legge fin dal 1950, con norme che, da subito, affidano il neonato a quelli che ne diventano pienamente genitori. Questa novità sarebbe vera follia, e perciò fa benissimo (anche) Saraceno a protestare. Quella legge di 64 anni or sono è opportuna, necessaria e benefica, in nome della vita e della speranza mai doma. Ecco un ricordo antico. In una classe di liceo, metà anni 70, un'alunna si era fatta silenziosa e da settimane indossava sempre un loden verde. Alla fine di una lezione la prendo da parte e le chiedo cosa abbia... Uno scoppio di pianto, apre il loden e si capisce perché: era al settimo mese! Che fare? Come aiutarla? Mi chiede di andare a casa sua per informare della cosa i genitori, colti e molto impegnati in politica. L'accompagno: un fulmine che li gela! Non sapevano e non sospettavano nulla: non si erano accorti di niente… Ebbene: la soluzione fu proprio quella consentita dalla legge del 1950. Dunque, se passasse questo punto di legge, dopo 40 anni qualcuno ufficialmente potrebbe chiedere alla ex ragazza oggi più che cinquantenne – per telefono? Per iscritto? Con obbligo di firma autentica? – se intende o meno mantenere l'anonimato. Follia purissima da cervelli incapaci di pensare ciò che fanno, e denuncia di Saraceno (e d'altri) doverosa, opportuna e, se non si offende, persino… benedetta!
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