mercoledì 29 settembre 2021
La decisione della Fiera nazionale del tartufo d'Alba di spostare di una settimana l'inaugurazione ha provocato un passaparola non indifferente. D'altronde non c'è tartufo, ma neppure ci sono i funghi, e ora che sta per finire la vendemmia, figlia di un'estate troppo siccitosa che ha portato a una contrazione della produzione, si contano le rese del riso, anch'esse più scarse rispetto all'anno passato. Della scarsità di grano a livello mondiale si parla da un mese e fra i rincari in arrivo, dopo luce, gas e benzina, ci sarebbe presto anche la pasta, come in generale un po' tutte le materie prime: alimentari e non solo. Di contro abbiamo imparato a sprecare un po' meno, almeno a leggere i dati dell'International Observatory on Food and Sustainability, secondo cui – proporzionalmente rispetto agli Stati Uniti – in Italia ogni settimana si butta via un terzo di cibo in meno. Con il lockdown sembra che da noi gli sprechi si siano ridotti dell'11%, segno evidente che la spesa oculata e meno distratta porta i suoi risultati. Il tema dei cambiamenti del clima resta comunque all'ordine del giorno ed è evidente che ora serve un radicale cambiamento della politica, che faccia tesoro della difficile coesione sociale raggiunta di fronte all'emergenza del Covid. Ma può essere la "dittatura dell'emergenza" a dettare le regole del gioco? Questa espressione l'ho letta in un articolo di trent'anni fa firmato da Franco Piccinelli, immaginifico giornalista e scrittore di Neive presso Alba, ricordato nel suo paese proprio la settimana scorsa: «Quando non ci sarà più la dittatura dell'emergenza – scriveva Piccinelli – mi auguro si sia ancora in tempo a dire che si è scherzato, che le frane saranno arginate, le gallerie messe in sicurezza, i treni e i binari li vedremo consolidati al loro posto, nella loro funzione». All'epoca la protesta di Piccinelli, figlio di un capostazione, era per i tagli alle linee ferroviarie, ma quando ha parlato di frane e di gallerie mi è subito rimbalzato alla mente il tema di un Paese fragile, anch'esso in balia dei cambiamenti del clima. Sembra quasi che dopo il Covid si stiano sgretolando tante altre certezze oltre a quelle sanitarie e soprattutto che faccia capolino la necessità di reagire allo spreco non solo alimentare, ma delle opere realizzate in passato e destinate poi all'abbandono in nome di una modernità vaga. Le recenti elezioni in Europa, e anche quelle amministrative imminenti nelle principali città italiane, possono portare a un cambiamento, ma il timore che si profila è la mania della discontinuità fine a se stessa: come se il valore da perseguire fosse una strana "creatività amministrativa" rispetto invece all'autentico bene comune. Ma si stanno rendendo conto che non c'è più tempo?
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