domenica 23 giugno 2013
All'indomani del duplice clamoroso flop del referendum contro i finanziamenti comunali agli asili non statali di Bologna (i "no" alla loro abrogazione provenivano, fatto molto significativo, soprattutto dai quartieri di sinistra della città "rossa"), il giurista Stefano Rodotà aveva richiamato l'articolo 33 della Costituzione (il famoso «senza oneri per lo Stato»), parlato di «regressione» e lamentato che «la scuola non è più al centro della politica costituzionale» (Repubblica, 10 giugno). Trascurava che proprio la Costituzione (art. 28) stabilisce che «è dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli», e che questo essendo insieme un dovere e un diritto, essi devono (non possono) farlo secondo propri principi e quindi devono scegliere la scuola che ad essi meglio risponde. A Rodotà ha replicato (Repubblica, 18 giugno) Francesco Belletti, presidente del Forum delle Famiglie, ma il giurista ha insistito. Bisogna ricordargli, allora, che la scuola che lui si ostina a definire «privata» è, per legge, «pubblica», «paritaria» e fa parte del medesimo «sistema scolastico» dello Stato. Tant'è vero che proprio lui citava una sentenza della Corte dei Conti che giustifica così una spesa analoga sostenuta dal Comune di Napoli: «I pur fortissimi diritti di contenuto economico e finanziario posti a salvaguardia dell'integrità dei bilanci pubblici non possono incidere sui diritti fondamentali delle persone» (la libera scelta della scuola). È risaputo, infine, che per ogni scolaro di scuola non statale, lo Stato risparmia 6.000 euro. Rodotà, però, crede che il risparmio sia un «onere». Per Santo Stefano gli regaleremo un dizionario italiano.«RESTAURATION»Un editorialista del Corriere della Sera, Roger Abravanel, specialista in "Meritocrazia" (è un suo libro) difende (mercoledì 19) l'apertura domenicale dei negozi, che costituirebbe «un segnale utile per la ripresa», anche se (parole sue) «una famiglia non consuma più latticini e salumi perché fa la spesa di domenica», ma anche se per chi lavora tutta la settimana c'è già il sabato pomeriggio e anche se, valore religioso a parte, la domenica serve a mille scopi. Fa invece un certo effetto leggere che, secondo Abravanel, il «dibattito sulle chiusure domenicali è il simbolo di un'Italia che non riesce a cambiare per quella mentalità anticompetizione che rende più forti le alleanze tra lo Stato e le forze restauratrici del passato», quando Comuni e Regioni avevano «il potere» delle chiavi sul piccolo commercio. Davvero sicuro che la chiusura domenicale, così utile a dare alle nostre città un volto meno caotico della loro quotidianità, sia roba da Ancien Régime?UBRIACATURECiascuno vive la domenica come sa o come può: rispettando, ignorando od offendendo il nome e il senso di questo giorno. I cristiani lo celebrano come il giorno del Signore; gli ebrei rispettano il riposo divino e umano del sabato; un antico costume civile ne fa una giornata dedicata al riposo anche degli atei, che ci tengono molto; qualcuno fa la spesa. Infine ci sono i costumi particolari: per esempio Il Fatto Quotidiano dedica alla domenica un inserto che dovrebbe essere satirico, ma che è solo un coacervo di volgarità, oscenità e parolacce. Difficile capire che qualcuno lo apprezzi, ma ogni botte dà il vino che ha e c'è sempre qualcuno che vi trova da ubriacarsi.
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