martedì 5 febbraio 2019
Sinisa Mihajlovic non sempre è stato preso sul serio come meritava. Gli hanno attribuito spesso virtù - come dire? - parziali rispetto alle sue effettive capacità. A Roma, da calciatore, non fece grande effetto ai giallorossi e andò meglio con i laziali: però finì spesso per essere elogiato solo per le preziose punizioni che realizzava. Da allenatore lavorò bene all'Inter ma - cosa volete - era solo il secondo di Mancini. Poi si disse che era la reincarnazione del vecchio sergente di ferro e alla fine tutti d'accordo che fosse un tecnico avveduto, scaltro, per dirla “alla tifosa” furbacchione.
Sono sicuro che a Bologna - una volta esonerato il tenero Pippo Inzaghi che faceva male al cuore (?) vederlo così incerto e indifeso - Sinisa l'abbiano preso per tutte le mezze virtù che proponeva ma in particolare - dicevo a me stesso e ai tifosi felsinei disperati - per la rinomata scaltrezza che me lo ha fatto ribattezzare “il Faina”. Appena sbarcato a Bologna - dov'era già stato dieci anni fa, poi sostituito dall'appuntato di ferro Papadopulo - ha capito che aria tirava: Pippo non sapeva, in poche parole, che i “suoi ragazzi” lo stavano praticamente licenziando timorosi che li stesse trascinando in B. La solidarietà, nel calcio, non c'è più. Ammesso che sia mai esistita. Così Sinisa ha avuto buon gioco dando una strigliatella ai pigri malvolenti mentre minacciava severe reprimende a todos. E magari punizioni monetarie. E così, quando arrivano a Milano per affrontare l'Inter eternamente alla ricerca di se stessa e pronta a ingaggiare un Diogene (un mago esotico?) che le trovi finalmente un Uomo, i bolognesi si scatenano, giocano la partita della vita (loro) e della depressione (altrui). Passi per il portiere Skorupski che doveva riparare a tutti i costi lo svarione che aveva facilitato il doloroso 4 a 0 del Frosinone a Bologna, ma gli altri, chi avrebbe mai pensato di trovare una squadra di ex coniglioni diventati leoni e dunque in grado di fornire un'esibizione brillante mettendo sotto la titolatissima Inter, i suoi tremebondi titolari e il suo ideologo sfuggito alla strage, Luciano Spalletti.
Un chiaro episodio di ipocrisia calcistica, quando si fa cadere un buon tecnico approfittando della sua inesperienza o peggio del suo anche involontario asservimento ai voleri della società. Sinisa ha cominciato a risolvere il problema del Bologna che vuole solamente essere salvato; all'Inter, dove serve uno che la porti in Champions, si è pronunciato Marotta («la posizione dell'allenatore è solida»), ma i giocatori hanno già sfiduciato Spalletti, checché lui ne dica. Più fortunato - o anche lui scaltro - il buon Di Francesco che nel mezzo dell'incendio tifoso ha trovato non solo il pompiere ma il soldato che sa farsi generale per salvare la squadra, Daniele De Rossi, il magnifico leader che, tornato da una lunga assenza, ha ridato vigore alla squadra.
Nè DiFra nè Spalletti possono dirsi esentati da atroci dubbi mentre corrono alla conquista di un posto in Champions, ma il tecnico della Roma ha tutori importanti, quello dell'Inter no. I signori Zhang hanno fatto una figuraccia mentre preparavano in patria i fuochi d'artificio (invenzione cinese) per il loro capodanno. A qualcuno dovranno farla pagare. Ma cerchino - come dico loro da tempo - anche la Costante Negativa, quel membro del Club che ha celebrato il Triplete e dopo ha fatto soli danni.
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