mercoledì 2 gennaio 2013
Da anni l'ex ministro del turismo Maria Vittoria Brambilla conduce una simpatica e benemerita battaglia a favore degli animali che non vanno vivisezionati, né abbandonati, né allevati in condizioni degradanti, né fatti sadicamente soffrire. È una buona battaglia singolarmente priva di riflessione teorica, come si evince dal Manifesto animalista che la volonterosa Brambilla ha pubblicato da poche settimane (Mondadori, pp. 200, euro 17). L'equivoco è ben sintetizzato nel sottotitolo: "Difendiamo i loro diritti", dove "i loro" sta per "degli animali".Ebbene, gli animali non hanno "diritti", perché da Aristotele a Kant e oltre, passando per san Tommaso, sono titolari di diritti soltanto gli animali razionali, cioè gli uomini, che hanno coscienza di sé al punto da poter rinunciare anche ai propri diritti. Gli animali hanno l'anima sensitiva con la quale possono comunicare con l'uomo la cui anima razionale assorbe sia l'anima sensitiva, sia l'anima vegetativa. E poi si può parlare di diritti solo se c'è un corrispettivo di doveri, e gli animali doveri non ne hanno. Né si dica che un neonato non ha doveri: non ne ha nel periodo in cui ha solo il diritto di vivere, ma a suo tempo assumerà i suoi doveri, a cominciare da quelli previsti dal IV Comandamento. Un gatto, invece, per quanto a lungo campi, continuerà a non avere doveri.Gli animali vanno rispettati e trattati bene, pur essendo subordinati all'uomo, perché, in caso contrario, l'uomo, oltre a farli soffrire, degrada sé stesso, si abbrutisce, con conseguenze dannose per l'umanità stessa. La fragilità di una tesi, inoltre, si dimostra portandola all'estremo: Brambilla è contraria alle pellicce, e può anche andar bene. Ma le scarpe, probabilmente anche le sue, che sono generalmente fatte di cuoio e di pelli animali, aboliremo anche quelle? Via, tutti a piedi nudi o con calze vegetali.Teoricamente ben provvisto, invece, il volume provocatoriamente intitolato Contro i diritti degli animali? (Medusa, pp. 120, euro 13), che racchiude tre saggi firmati da John Baird Callicott, Christine M. Korsgaard e Cora Diamond, con prefazione di Roberto Peverelli. La tesi di fondo è che si può essere ambientalisti e anche vegetariani senza essere animalisti, in polemica con Tom Regan e Peter Singer che sono i profeti della "liberazione" e dei diritti degli animali.Particolarmente interessante il saggio di Korsgaard, harwardiana studiosa di Kant, che cerca di far dire a Kant quello che Kant non ha detto. Il filosofo tedesco, infatti, escludeva "diritti" per gli animali, ma sosteneva che se è lecito ucciderli e utilizzarli per i nostri scopi, non si devono infliggere loro sofferenze crudeli e gratuite per il dovere che abbiamo verso noi stessi "di coltivare sentimenti favorevoli allo sviluppo della vita morale" (Peverelli). Korsgaard sostiene, kantianamente, che la nostra umanità consiste nella razionalità che ci consente di considerare ogni uomo come un fine in sé; ma anche la nostra natura animale è un fine in sé, argomenta l'harwardiana, e se la rivendichiamo sarà possibile farlo anche per le altre vite animali. Il limite dell'argomentazione sta nel separare, nell'uomo, vita animale e vita razionale che invece, come sopra è stato tommasianamente accennato, fanno un tutt'uno: è la stessa anima razionale a svolgere le funzioni sensitive e vegetative.Comunque il libro di Medusa è di utile lettura (o rilettura), consigliabile anche all'intrepida Brambilla il cui Manifesto, fra l'altro, è grammaticalmente troppo incentrato sulla prima persona singolare: "io", "io", il pronome che Carlo Emilio Gadda ha insegnato a odiare.
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