giovedì 9 febbraio 2017
Nei commenti all'omicidio di Vasto - dove un uomo ha ucciso a colpi di pistola l'investitore che, sette mesi prima, aveva causato la morte della sua giovane moglie - è stata ricorrente la parola "giustizia": ora intesa come obiettivo e movente dell'omicidio («farsi giustizia da sé»), ora come insieme degli apparati che quel risultato sono preposti a perseguire e che, asseritamente, non avrebbero saputo perseguire con rapidità («la giustizia lenta»). Implicita, in tali commenti, la concezione della giustizia come risposta al male con una pena, cioè un altro male.
I commenti hanno invece pressoché completamente ignorato la prospettiva di un diverso e complementare modello di giustizia che, dinanzi al male arrecato e al negativo, reagisca in modo positivo, «secondo il bene»: la cosiddetta giustizia riparativa (o riconciliativa, o restaurativa), cioè la promozione di un percorso di relazione tra l'autore del reato e la vittima, i suoi familiari e la società (come ha scritto Luciano Eusebi). Un percorso che permetta all'autore del reato di riconoscere l'ingiustizia del male commesso e alla vittima di elaborare il lutto (lo ha osservato Maria Rita Parsi, in uno dei pochi commenti non "emotivi" alla vicenda).
Difficile dire se e in quale misura, nel caso concreto, la sperimentazione di percorsi di giustizia riparativa avrebbe potuto prevenire la commissione dell'omicidio volontario, anche a causa di un clima di odio che, a quanto risulta, si respirava nei social network e che avrebbe contribuito a fare percepire come lenta la macchina giudiziaria. Quel che è più certo è che l'Italia, Paese che persegue, secondo il modello costituzionale, pace, giustizia e solidarietà al proprio interno e tra le nazioni, dovrebbe porsi con convinzione il problema della giustizia riparativa. Da tempo, il regolamento penitenziario prevede, all'interno del trattamento carcerario, una riflessione non soltanto «sulle condotte antigiuridiche poste in essere», ma altresì "«sulle possibili azioni di riparazione delle conseguenze del reato» (art. 27, comma 1 d.P.R. 230/2000): una prospettiva che andrebbe riferita non solo al momento dell'esecuzione della pena, ma anche durante il processo e nelle sue fasi preliminari.
È possibile concludere che, così come la vendetta privata e la legge del taglione sono l'antitesi della giustizia in ogni sua contemporanea accezione, anche la risposta della sola sanzione penale (detentiva) non costituisce integrale giustizia, se con questa parola intendiamo la manifestazione della pari dignità sociale di ogni consociato: superare la concezione della pena come raddoppio («retribuzione») del male non è buonismo o perdonismo, è riconoscimento della comune umanità, un'umanità solidale.
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