mercoledì 21 novembre 2012
Gary A. Anderson (St. Paul, MN, 1955) insegna teologia cattolica alla University of Notre Dame (Indiana) e ha scritto un libro affascinante che non è sfuggito alla sensibilità di Aldo Canovari, patron di Liberilibri. Eccolo a disposizione del pubblico italiano nella traduzione di Marina Bernardini, col titolo Il peccato. La sua storia nel mondo giudaico cristiano (pp. 280, euro 19). Erudizione, sicura competenza e schietta ortodossia danno sostanza a questo saggio che, tra l'altro, valorizza alcune interpretazioni rabbiniche dell'Antico Testamento solitamente poco frequentate.Nella Bibbia il peccato è dapprima simboleggiato come un fardello, un peso da portare, o una macchia da cancellare. Ma ben presto il peccato è indicato come un debito da saldare, e del resto Gesù stesso, nel Padre nostro, ci ha insegnato a invocare la remissione dei debiti, cioè dei peccati. Molto interessante il ruolo dell'elemosina nel cancellare i peccati, come si evince dal Libro di Daniele in cui il profeta suggerisce a Nabucodonosor di equilibrare, appunto con l'elemosina, le sua molteplici malefatte che gli avrebbero già meritato il castigo divino. Ma non si tratta di acquistare con l'elemosina il perdono, secondo le accuse di Lutero a proposito delle indulgenze: tutto avviene in un contesto profondamente religioso perché, per le antiche scuole rabbiniche e per la Chiesa primitiva, la mano del povero diventa l'altare del sacrificio; fare l'elemosina è un prestito a Dio ed espressione della fede in Lui; la generosità nell'elemosina diventa gesto supererogatorio che alimenta il tesoro nel Cielo di cui parla anche Gesù.Lo sfondo, tuttavia, è ben più vasto perché implica addirittura il significato della redenzione. Molto opportunamente Anderson chiama in causa il Cur Deus homo di sant'Anselmo (1033-1109) con il formidabile interrogativo: l'incarnazione sarebbe avvenuta anche se l'uomo non avesse peccato, oppure è necessitata dalla riparazione del debito con la giustizia divina? È un vero godimento intellettuale seguire la sottigliezza dei ragionamenti di teologi tanto antichi, che hanno dato luogo a due scuole di pensiero: per san Tommaso (1225-1274) l'incarnazione non sarebbe avvenuta se l'uomo non avesse peccato; per la scuola di Duns Scoto (1265-1308) che lateralmente si ricollega a sant'Anselmo, anticipata da sant'Ireneo (130-202) Dio nel creare l'uomo aveva Cristo come archetipo. Come Isacco aveva accondisceso a dare la propria vita per il sacrificio chiesto da Dio per provare la fede di Abramo, Cristo si è offerto in sacrificio per riscattare l'uomo dal peccato.Molto opportunamente Anderson cita dall'Introduzione al cristianesimo di Joseph Ratzinger: «Per molti, moltissimi cristiani sembra quasi che la Croce debba essere considerata come parte di un meccanismo che vede il diritto prima offeso e poi ristabilito. Si tratta della forma, così sembra, nella quale la giustizia di Dio, infinitamente offesa, fu resa di nuovo propizia attraverso un'espiazione infinita [...] Questa definizione è tanto falsa quanto diffusa. Nella Bibbia, la Croce non è la parte di un meccanismo di diritto offeso; la Croce è, al contrario, l'espressione della natura radicale dell'amore che si dà totalmente, del processo all'interno del quale si è quello che si fa e si fa quello che si è; è l'espressione di una vita che consiste totalmente nell'essere per altri».Ireneo, Anselmo, Tommaso, Duns Scoto, giganti del pensiero avvicinandosi ai quali si è colti da vertigine, e che continuano a vibrare trapelando anche dalle righe di una recensione giornalistica.
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