mercoledì 14 marzo 2018
Tempestina mediatica all'inizio di questa settimana sulla pizza firmata da Carlo Cracco. Se ne parla da due giorni e la protesta che s'è scatenata sui social è poi arrivata sui giornali. E di conseguenza anche su radio e tivù.
Ma che ha fatto di tanto clamoroso il famoso cuoco, che da neanche un mese è in Galleria a Milano? Ha interpretato la Margherita a modo suo, con un'ottima farina integrale macinata a pietra, la Petra 9, e a quanto sembra con un'aggiunta di cereali che alla fine danno una conformazione scura e croccante al tondo, su cui sono adagiati salsa di pomodoro San Marzano, pomodorini confit e mozzarella di bufala a crudo. Una rivisitazione che appare simile ad altre pizze cosiddette gourmet.
Anzi, esiste pure una pizza, la Mastunicola, datata 1500 e considerata la madre di tutte le pizze, che è a base di farina di farro ed ha ha più o meno il medesimo colore: l'ho assaggiata e mi è piaciuta, ma non mi risulta che il pizzaiolo che la propone sia stato contestato.
Perché allora ci si scalda tanto? Per la legge del contrappasso: chi ha un'esposizione mediatica è soggetto a critiche a ogni piè sospinto, ancor più da parte di chi quella pizza nemmeno l'ha assaggiata; figuriamoci sapere che esiste la Mastunicola, alla quale forse Cracco si è ispirato... Ma la difesa delle ricette è un divertissement tutto italiano, che funziona moltissimo quanto più i giornali sono infarciti di estenuanti pronostici politici.
Nessuno ha mai sollevato polveroni sulle pizze indigeste che ci hanno sfornato per decenni, dopo il boom di questo piatto. Pizze con carciofini e funghi simili alla plastica, con lievitazioni sempre più corte e magari pomodoro acido a condire un impasto gommoso. Questo non crea scandalo, anche se ha dietro insegne territoriali tipiche; mentre chi propone finalmente la pizza con ingredienti nobili è reo di tradimento. Se tale è l'effetto del riconoscimento della pizza come bene dell'umanità, siamo alla gabbia della tradizione. E mentre si leggeva divertiti la diatriba sulla pizza in Galleria, dalla Sicilia arrivava trionfante la richiesta della Dop per lo Sfincione di Bagheria: un piatto tipico delle feste e anche buono, che non m'azzardo a dire parente della pizza: sarei messo all'indice!
Tuttavia mi chiedo: è proprio il caso di scomodare ministeri, carteggi, commissioni, esperti per dare la Dop a un piatto locale? Forse no, avremmo cose più urgenti e utili da fare, vien da dire, mentre quel piatto dovrebbe poter avere la Denominazione Comunale. Che non è una medaglietta rispetto alla Dop: è semplicemente una carta di identità. Ma finché nessuno vuole far chiarezza, il futuro sarà costellato dalle richieste più impensabili. E anche da tanta perdita di tempo.
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