mercoledì 24 ottobre 2012
Finalmente un libro che parla dell'Italia in positivo, che racconta del «Paese che resiste e rinasce»: l'ha scritto Aldo Cazzullo, intitolandolo L'Italia s'è ridesta (Mondadori, pp. 218, euro 15,90). Basta lamentele, basta piangerci addosso: l'Italia, assicura Cazzullo che pur dichiara di non aver voluto scrivere un libro consolatorio, «ha possibilità di sviluppo superiori ai nostri pensieri più ottimisti»; «L'Italia è, tutta intera, un Paese di eccellenze, alcune espresse, altre in potenza». Con questo viatico ci si dispone speranzosi alla lettura, ma, di capitolo in capitolo, le criticità che Cazzullo non nasconde, destano più preoccupazione che sollievo. Torino, per esempio, «oggi è una città volgare»: al caffè Fiorio, i «galantuomini» parlano di donne («Le tibetane, le cubane...». Anche la neo-torinese Luciana Littizzetto è volgare, «ma i comici devono esserlo». Però da qui è partita la catena delle gelaterie biologiche Grom, e Massimo Gramellini ha scritto (pare) un bel romanzo, comunque la città ha perso 300 mila abitanti in pochi anni «e non saranno i Saloni del Libro e del Gusto, i romanzi del mio amico Massimo e i gelati di Grom a restituirci quella Torino». A Palermo anche il volonteroso Cazzullo, tenacemente antiberlusconiano (ma il libro è pubblicato dalla berlusconiana Mondadori), si è trovato a corto di argomenti per sollevare gli animi; Bologna, poi, è una città di dispersi: spariti i grandi industriali, sparite le grandi famiglie, anche il cardinal Caffarra – che «era partito forte» – «a un tratto è sparito». Cazzullo dedica quasi per intero il capitolo bolognese a Lucio Dalla, il più sparito di tutti. E Roma? «Mi chiedo se i romani si rendano conto di cos'è diventata la loro città. Di cosa significhi quell'intreccio di cinismo, arroganza, maleducazione, indifferenza che è la Roma di oggi». E Milano? «È una città che viene "usata" più che abitata», e tuttavia «una bella parte del nostro futuro si gioca, ancora una volta, nella nostra unica città affacciata sul mondo: Milano». Siena è «figura dell'Italia intera, Paese corporativo e viziato, spaventato dai privilegi che sfumano e dalla ricchezza che evapora, ma straordinario non solo per la tenuta sociale, per la solidarietà di fronte agli eventi estremi, alla morte, alla malattia, alla fragilità umana». E così via per Genova, Firenze, Parma, Verona, Venezia, Bari, Trieste, L'Aquila, e per Altri Nord e Altri Sud. Tutto è descritto con il gramsciano «ottimismo della volontà», che è pur sempre una risorsa, anche se non è ben chiaro da dove cominciare per applicarlo. Peraltro, Cazzullo si lascia sfuggire che per dare «un colpo mortale» alla mafia «bisognerebbe legalizzare la droga» e concorda con il «fascinoso e controverso» sindaco di Napoli, De Magistris, sull'opportunità di un «parco dell'amore» per le giovani coppie che non hanno un posto dove andare. (De Magistris dev'essere così fascinoso che Cazzullo, ricevuto in Comune alla nove di sera, non gli fa neanche una domanda). L'inevitabile paragone con il Viaggio in Italia di Guido Piovene (1957) lo fa, a nome di tutti, Ferruccio de Bortoli nell'affettuosa Prefazione. Il direttore del Corriere non fa confronti di stile, si accontenta di dedurre che «l'Italia per certi versi vive un eterno dopoguerra» e di affermare che Cazzullo «mostra una società civile che nonostante tutto non si arrende». Quanto allo stile, mi pare che il giornalismo descrittivo di Cazzullo, un po' alla «qui lo dico, qui lo nego», assomigli più al giornalismo di Enzo Biagi che a quello di Giorgio Bocca, che tuttavia Cazzullo considera un maestro. Ma Bocca aveva una bella capacità di indignazione, di immedesimarsi in ciò che narrava, come faceva il più controverso di tutti: Pier Paolo Pasolini.
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