Ma cari signori critici, nemmeno la poesia è buona purchessia...
venerdì 24 marzo 2017
Un supplemento-libri come La Lettura, sul quale appaiono molti editoriali ottimi e tempestivi su vari aspetti della cultura, quando si occupa di poesia italiana attuale con il proposito di farne l'apologia, cade in un ottimismo di maniera curiosamente acritico. Perché? La ragione, credo, è nel proposito. Si vuole, per partito preso, fare propaganda alla poesia italiana di oggi "in generale", per come convenzionalmente si presenta e senza mai interrogarsi su stili, qualità letteraria, spessore culturale, interesse e valore dei singoli autori. Viene meccanicamente evocato un "piccolo canone" di autori favoriti (spesso infondatamente) dagli editori. Non ci si chiede se per caso è avvenuto qualcosa di nuovo nella poesia italiana dagli anni Settanta in poi. Non si scopre niente. E soprattutto, purtroppo, si propongono all'attenzione, o forse alla disattenzione, dei lettori una serie di testi poetici che si capisce a malapena come sia venuto in mente a qualcuno di scriverli. Delle 10 poesie proposte su due intere pagine nell'ultimo numero, ne salverei non più di due, e invito a prenderne visione senza pregiudizi, senza limitarsi a leggere il nome degli autori, ma stando attenti sia al suono che al significato, sia alla forma che all'oggetto e al tema. Sono versi quei versi? Cosa aveva in mente l'autore? Che tipo di lettore immaginava? Lo immaginava? Per fortuna, l'articolo di accompagnamento di Paolo Di Stefano non nasconde una scettica, responsabile consapevolezza critica. Fa bene, per esempio, a ricordare il magnifico discorso sulla poesia e la sua sorte che Montale pronunciò a Stoccolma in occasione del Nobel. Di Stefano cita anche Giovanni Raboni, il quale diceva che quello della poesia è «il linguaggio più completo, un linguaggio che ha la capacità di emozionare con il suono come la musica, di comunicare con le immagini come la pittura, di trasmettere contenuti intellettuali come la filosofia». Raboni parla in generale. Per scendere nel particolare sarebbe necessaria qualche verifica empirica, forse storica e certamente critica. Quelle capacità del linguaggio poetico le si trova sempre? A volte? Di rado? Rimprovero a Di Stefano di aver negato che esista un problema critico e di aver dimenticato che in un'altra occasione Montale scrisse: «È naturale che una merce poco richiesta tenda a scomparire; ma in questo caso [quello della poesia] si ha l'impressione che alla poca richiesta corrisponda una certa svogliatezza nell'offerta. Il pubblico non chiede nulla anche perché non gli si offre nulla […]. Un'arte senza una critica parallela muore».
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