venerdì 8 maggio 2015
C'è chi dice che non sono ancora arrivati i milanesi e chi si lamenta per i prezzi dei ristoranti. L'Expo è partito, archiviando mesi di accuse di incapacità. Il biglietto da visita che offre il Padiglione Zero, ideato in maniera geniale da Davide Rampello, apre ad una serie di contenuti che fanno riflettere: uno riguarda lo spreco di cibo, evocato da un stanza dove c'è una scultura di immondizia alimentare. E in quello spazio è stata ospitata la best practice del Banco Alimentare, che in Italia tenta di dare una risposta al bisogno quotidiano, puntando il dito su una questione di coscienza: cominciare a sprecare meno. La seconda suggestione del Padiglione Italia è una stanza con 500 monitor, dove a ritmo vertiginoso vengono proiettati i prezzi delle principali materie prime del mondo. Difficile seguire anche un solo monitor, ma non è quello lo scopo. Piuttosto quei monitor stanno a significare che la finanza può mettere alla fame il mondo, seguendo logiche che nulla hanno a che fare con un progetto di crescita della nostra civiltà. Tutto questo per dire che l'Expo non è soltanto un grande luna park, ma anche un ambito di riflessione. Ma di riflessione si può anche morire. Anzi, mentre si riflette (ed è fondamentale che la coscienza di ciascuno metta nei propri pensieri anche questi), il Mediterraneo continua a fare approdare barconi di gente disperata. Due facce di un'Italia: quella che riflette e quella che vive un'emergenza rispetto alla quale si fa finta che non esista. Fra le voci che hanno voluto dare un contributo all'Expo, non certo è passata inosservata quella di papa Francesco, che ha invitato a riflettere sui punti ancora oscuri del "Nutrire il Pianeta". Ma dalla riflessione tutti vorremmo che si arrivasse non a una carta che le sintetizzi tutte (importante per altro), ma ad un'azione. Un ex vicesindaco della città di Milano, Antonio Intiglietta, nei giorni scorsi ha lanciato la proposta di un Expo for Africa, che non significa aiuti generalizzati ma ripartire dall'antico, ormai, progetto dell'autodeterminazione dei popoli africani. Quando eravamo giovani studenti di questo si parlava. Sono passati oltre trent'anni e che ne è rimasto? Qualcosa, anzi molto, è stato fatto. Le Ong in primis. Dunque qual è lo stato dell'arte di questo percorso virtuoso? Chiederlo oggi, che il mondo si confronta all'Expo dentro ai cluster sulle principali materie prime, non è peregrino, ma è solo la necessità che questa occasione vada oltre la riflessione e produca volontà. È bellissimo il clima che si respira fra il cardo e il decumano, si assaggiano vini e piatti regionali, fino all'alta cucina. Ed è una rappresentazione che non poteva mancare. Ma se il gusto che possiamo permetterci di approfondire non ha nel suo orizzonte il mondo (e all'Expo dovrebbe averlo), la riflessione rischia di venire cancellata tra un pranzo e una cena. Che si può fare?
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