domenica 3 giugno 2018
Si racconta che papa Bergoglio da piccolo, nel barrio del Boedo (Buenos Aires), giocasse a calcio nell'oratorio di padre Massa, fondatore del suo club del cuore, il San Lorenzo de Almagro. Voci di popolo. Come quelle raccolte a Wadowice, il paese natale di papa Giovanni Paolo II, in cui Eugeniusz Mroz (classe 1920, come il Papa Santo) mi disse: «Giocavamo tutto il giorno e una volta con una pallonata, io e Lolek rompemmo la vetrata della chiesa». Lolek, era il nomignolo di Wojtyla quando difendeva la porta della squadra locale. Il compito di fare gol invece spettava all'amico di una vita, l'ebreo Jerzy Kluger, il quale perse tutta la famiglia nei lager nazisti. Dopo più di trent'anni, quando Jerzy andò a Roma per incontrare il suo amico Lolek, divenuto Papa, ricordarono anche di quelle loro «partitelle». Sfide sul campo che al Papa ispirarono diversi scritti, in cui ribadiva il concetto di pratica sportiva come «promozione umana», e che furono al centro di simpatiche discussioni con Zibì Boniek. Il fuoriclasse della nazionale polacca alla vigilia del Mundial dell'82, andò a trovare Wojtyla in Vaticano per chiedergli se potesse pregare per la sua Polonia. Giovanni Paolo II spalancò i suoi grandi occhi celesti e con il senso della posizione e della responsabilità dell'ex portiere rispose: «Caro Boniek, mi dispiace ma Dio non va scomodato per queste piccole cose».
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