sabato 9 maggio 2009
A chi si fosse annoiato di andare alle Seychelles, alle Maldive, a Sharm el-Sheikh, vorrei proporre di voltarsi indietro e guardare un po' all'Italia. Non solo ai resti monumentali dell'epoca romana o alle glorie del Rinascimento, ma alle piccole cose che ogni nostro modesto paese ci offre con discrezione e saggezza. Scopriremo, con pochissima spesa, le affascinanti storie raccontate da antiche stanze che ancora profumano di vecchio inchiostro, di colori ad olio, o di fresca tempera, almeno così sembra quando si entra, ad esempio nella locanda Martorelli di Ariccia. I Colli Albani, conosciuti forse più della bontà delle sue trattorie, sono stati dal 1650, anno del Giubileo, meta prediletta della nobiltà europea. Il turismo di allora, attirato anche dalla presenza dei papi che avevano scelto Castelgandolfo per la villeggiatura, diresse i propri interessi storici, culturali e politici, costruendo ai Colli Albani ville, chiese, palazzi. Ce ne danno notizia anche i molti artisti stranieri amanti dalla pace, ma soprattutto di quel tanto di selvaggio che veniva offerto dagli enormi lecci dall'ombra oscura, le vecchie mura, le strade di terra che essi ritrovano nei loro dipinti ed abbellivano con la presenza di giovani donne e di pastori assopiti tra le rocce. Quadri che si possono trovare ovunque in Europa, e non sempre opera di grandi artisti, ma di pittori che sapevano arricchire della propria fantasia il tipo di vita di quella gente modesta mescolando miti e storia in un'unica luce. Avvicinandosi alla bella piazza di Corte di Ariccia dove si alza potente Palazzo Chigi, che merita una visita accurata, dopo pochi passi si arriva davanti ad un palazzotto che dall'esterno non rivela niente del suo segreto: è il Casino Stazi che ospitò nell'ottocento la famosa locanda Martorelli. Stazi era un doratore, personaggio di spicco all'epoca del feudo Chigi. Qui la cosa più sorprendente sono le stanze del primo piano della locanda luogo di incontro di pittori, scrittori, poeti cioè il meglio della cultura europea del Settecento. Le stanze sono completamente arricchite da tempere murarie del polacco Taddeo Kuntze. Il tema delle pitture è la leggenda di Ippolito con l'illustrazione di miti e di fatti storici dell'antica Ariccia. Ritornano allora alla mente nomi dimenticati sui nostri primi libri di storia, come quello di Turno, della battaglia tra Romani e Latini, il regno di Numa Pompilio, e tutto sotto allegorie come quella di Diana o di Teseo per dare al racconto qualcosa che l'innalzi alla vita degli dei. Ciò che resta è il ricordo di quell'atmosfera dove le scene descritte sono collegate tra loro da sapienti giochi di pennello che le uniscono una all'altra in un intrico di nastri, di foglie, di fiori dettati dalla fantasia in modo tale che quando esci ti pare di avere perduto o volutamente lasciato qualcosa del tuo stesso incanto che di solito non sai tenere per te, ma perdi, distratto, per via. Andare alle ricerca della nostra storia attraverso le vicine testimonianze di chi ci ha preceduto è cosa facile e di poca fatica, aiuta a liberarci dal quotidiano, da ricchezza al nostro spirito e, no ultimo ci da quel senso di orgoglio di appartenere ad una civiltà che nei secoli ha illuminato il mondo.
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