giovedì 23 ottobre 2014
Raccoglie l’eredità di Arcimboldo, e forse di molti altri ancora, come Bosch e Bruegel, come Rembrandt, come Dalì, raccoglie questa preziosa eredità e la trasforma in modo del tutto personale. Si chiama Andre Martins de Barros è nato ai piedi dei Pirenei, a Pua, è francese, ma nelle sue vene scorre tutta la passionalità del mondo ispanico. Le sue opere parlano di terra, di corpi umani, ma hanno lo struggente desiderio di vedere tutto dall’alto. I temi religiosi non sono molti, eppure quelli presenti sono significativi. Barros è ossessionato dalla figura di Dio Padre che, come vegliardo, scruta il mondo. Un mondo che piange, un mondo che dovrebbe essere avvolto nella luce, mentre è oscurità e legno. Di Dio Padre vedi soprattutto le mani, vedi la sua opera, perché il volto – come dicevano gli antichi – non lo si può vedere appieno. E tuttavia è tenerissimo il gesto di quelle mani che sollevano la terra, un globo di legno che – come afferma il titolo – piange: Pleurs de terre. Il pianto della terra Dio lo vede: vede le gocce del mare delle lacrime cadere nell’universo; vede le fiamme di un mondo in guerra salire al cielo. Ma Dio Padre non cessa neppure di vedere come dovrebbe essere questa nostra terra: azzurra e luminosa, come Barros ce la mostra nel punto più profondo della tela, quasi pronta a emergere nella bellezza della sua vera identità.Una delle sue tele s’ispira a Cristo. Il titolo è Golgotha e percepisci immediatamente un crocefisso: Cristo è centrale, circondato da una corona di spine immensa come se tutto il dolore del mondo fosse convenuto lì, attorno alla croce. E in effetti, tutto il dolore del mondo è nascosto dentro la cifra del Golgotha sopra il quale salgono infinite schiere di cristiani. Le vediamo attorno al Cristo assiepate, sofferenti. Ci sono uomini di ieri e di oggi. Ci sono anche i due ladroni, ci sono i profeti, ci sono gli apostoli in primo piano. Forse c’è anche Pietro che porta il suo fascio di ulivo: porta la pace a un mondo che, della pace, non sa che farsene.Ma quella stranezza che avverti subito, tipica dei dipinti dell’Arcimboldo, quella stranezza che ti fa vedere non un gruppo umano, ma un volto, ti cattura. Non ti permette di indugiare sulle singole figure, sei costretto ad allontanarti con lo sguardo per guardare la scena dall’alto. E allora vedi: è il volto di Cristo che sofferente, eppure maestoso. Si leva dalla terra, si leva come le catene montuose di questa nostro pianeta, si leva imponente e capace di dare senso a tutta la storia. Capace, come i monti, di dare rilievo. Forse dovremmo conquistare il medesimo sguardo, in quest’ora difficile, dove le parole si sono sollevate come spade attorno al Sinodo; parole che volevano essere pacifiche, ma sono diventate roventi. In quest’ora dove le immagini di un mondo crocefisso, il mondo dei martiri cristiani, si leva a giudicare le nostre piccole beghe quotidiane, i giochi politici, gli equilibri di un potere stanco. Ecco, Barros ci rieduca a uno sguardo diverso, dall’alto. Dove poter vedere finalmente ciò che conta: il rilievo di una Chiesa che in ogni ora della storia conserva in sé l’impronta del suo Fondatore. Quel volto di Cristo che mai l’abbandonerà.Immagini: André Martins de Barros, Pleurs de terre, olio su tela, 2006, Collezione Privata André Martins de Barros, Golgotha, olio su tela, 2006, Collezione Privata

 
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