giovedì 13 settembre 2018
Alessandro Zaccuri
Da qualche parte bisogna pur cominciare. E il bello è che, da qualsiasi parte si cominci, in qualche modo è quella giusta. Lisa Ginzburg, per esempio, ammette con un certo candore che il suo primo incontro con la Creatura immaginata da Mary Shelley avvenne per il tramite di un film comico, il celeberrimo – e ancor oggi esilarante – Frankenstein Junior diretto nel 1974 da Mel Brooks a partire da un'intuizione del protagonista Gene Wilder. Sarà anche in virtù di questo avvio inusuale che adesso la scrittrice riesce a scorgere nel romanzo una serie di elementi solitamente poco valorizzati, se non addirittura negati, da altri lettori. La presenza della madre, anzitutto, che in Frankenstein, o il Prometeo moderno non appare mai in evidenza, soffocata com'è da una vicenda di ambizioni e vendette ostinatamente confinate in ambito maschile. Ma è di un grembo che la Creatura va in cerca, di un'origine che riscatti dalla sventura di essere considerato un mostro e gli permetta invece di riscattare la propria natura più autentica.
Quale? Quella di provenire da un atto di Pura invenzione, come recita il titolo del saggio-confessione che Lisa Ginzburg dedica al capolavoro di Mary Shelley nel bicentenario della prima pubblicazione. Edito da Marsilio (pagine 112, euro 12,00), il libro è una delle uscite inaugurali della collana “Passaparola”, che affida a scrittori italiani contemporanei la riflessione su testi classici o comunque percepiti come tali. A fianco delle “variazioni” di Lisa Ginzburg su Frankenstein troviamo dunque le “visioni” suscitate in Michela Murgia da Le nebbie di Avalon di Marion Zimmer Bradley (L'inferno è una buona memoria, pagine 116, euro 12,00) e i virtuosistici “esercizi” di Alessandro Giammei sull'aria del Grande Gatsby di Francis Scott Fitzgerald (Una serie ininterrotta di gesti riusciti, pagine 168, euro 12,00).
Da parte sua, Pura invenzione si presta a essere recepito come un nuovo capitolo di un'autobiografia in frammenti che, già implicitamente avviata da Lisa Ginzburg con il romanzo Per amore (Marsilio, 2016), ha trovato di recente espressione in un altro libro molto personale, Buongiorno mezzanotte, torno a casa (Gaffi, 2018), tutto incentrato sull'esperienza dello spaesamento e del rimpatrio. Ora il rapporto con Frankenstein si pone sotto un segno non troppo differente: i dodici capitoli di cui si compone Pura invenzione (uno per ciascuna delle lettere che si trovano nel cognome dell'infelice inventore) scandiscono un percorso di riscoperta di sé e, insieme, di rispecchiamento in Mary Shelley, nata Wollstonecraft. Anche lei, l'autrice di Frankenstein, era figlia di una coppia di intellettuali, anche lei si era trovata a lottare tra il lutto per la madre femminista (Mary Wollstonecraft morì per le conseguenze del parto, Anna Rossi-Doria è mancata poco più di un anno fa) e il desiderio di approvazione da parte del padre (le pagine su Carlo Ginzburg sono forse le più delicate e coraggiose del libro).
Sembrano sorelle, Mary e Lisa, e in alcuni momenti possono addirittura essere scambiate per gemelle. Ma a istituire la necessaria distanza provvede proprio la Creatura, figura antesignana dei freaks ai quali la fotografa Diane Arbus ha dedicato la sua opera breve e appassionata. «Costruire un romanzo – annota Lisa Ginzburg – può segnare la via d'uscita da un senso di mancanza», può essere il primo passo sulla strada che dal caso della felicità perduta (in Frankenstein si mette in discussione, tra l'altro, il mito rousseauiano dello “stato di natura”) conduce, attraverso l'errore e il desiderio, all'infinito dischiudersi di possibilità che ogni nascita porta con sé. È questo inizio, da sempre, la più pura delle invenzioni.
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