mercoledì 25 marzo 2009
Di Callas non ce n'è mai abbastanza, e dunque ben venga anche la biografia di David Lelait-Helo, Maria Callas. Vissi d'arte, vissi d'amore, uscita in Francia nel 2002 e ora tradotta da Sabrina Favaro per Lindau (pagine 240, euro 21,00. Callassiani e callassologi avranno poco da imparare da questo nuovo libro, ma non tutti sono callassiani o callassologi e c'è sempre qualcuno che ha voglia di imparare, se non altro per verificare le ragioni di un mito che nel secondo Novecento ha fatto riscoprire nel mondo l'opera lirica, intrecciandola alla mondanità e alla tragedia. Lelait-Helo non sembra aver fatto originali ricerche, limitandosi a riassumere e citare dalla vasta bibliografia esistente. Tanto per fissare qualche caposaldo, i testi fondamentali restano: La vera storia di Maria Callas, di Renzo Allegri (Mondadori) " soprattutto per il ruolo di Meneghini; Callas, di Attila Csampai (Rizzoli), con prefazione di Ingeborg Bachmann; Fuoco greco, di Nicholas Gage, accurata investigazione che ha portato alla scoperta del figlio che la Callas aveva avuto da Onassis e che sopravvisse solo poche ore. In originale italiano c'è "il romanzo della Callas", Troppo fiera, troppo fragile (Mondadori, 2007)) di Alfonso Signorini, che curiosamente ha in copertina la stessa (peraltro bellissima) foto scattata da Cecil Beaton che figurava già nella copertina di Csampai (2001). Signorini ha il merito di aver romanzato senza tradire, con particolari sul figlioletto raccolti dal figlio del custode del cimitero di Bruzzano, che la diva assiduamente visitava (ma dopo la morte di lei, per mancato rinnovo della convenzione, nel 1978 la tomba è andata distrutta e le spoglie di Omerino sono finite nella fossa comune). Certo, non si finirebbe mai di leggere della Callas, e ogni rilettura induce al riascolto. La discografia è sterminata, ma non così la filmografia, purtroppo. Peraltro è sufficiente la registrazione del concerto di Amburgo, con il giovanissimo Georges Prêtre adorante, a dare la misura del fascino immortale della divina. Ma la voce, la voce. Si prenda, per esempio, la scena della pazzia della Lucia di Lammermoor, di Donizetti. C'è la registrazione del concerto radiofonico Martini & Rossi del 18 febbraio 1952. Il 10 e il 26 giugno dello stesso anno, la riascoltiamo da Città del Messico. L'anno successivo, eccola al Maggio musicale fiorentino, diretta dal prediletto Tullio Serafin; nel 1954 e nel 1955 incide dalla Scala e da Berlino, diretta da Herbert von Karajan; nel 1959, ancora con Serafin, da Londra. Ebbene, il confronto delle varie incisioni è vertiginoso. Le registrazioni da studio sono tecnicamente perfette, ma è dal vivo che la Callas dà il meglio. Insuperata, infatti, è l'esecuzione messicana del 1952, registrata malamente (ogni tanto si sente perfino la voce del suggeritore), ma la serata è restituita intatta. Furono sedici le chiamate alla ribalta, il pubblico (come afferma il cronista radiofonico) sembrava deciso «ad applaudire eternamente», e la Callas (incredibile) concede il bis dell'intera scena (una ventina di minuti) e la replica, registrata anch'essa, in gara tra voce e flauto, riesce ancor meglio. Già nel 1965 la voce, forzata da una repertorio sterminato, non è più la stessa. Il divorzio da Meneghini, il tradimento di Onassis, la dispersione del jet-set, la resero troppo simile alle eroine tragiche interpretate sul palcoscenico. Maria morirà in solitudine, a Parigi, il 16 settembre 1977, a soli 54 anni. La rivincita cinematografica con la Medea di Pasolini, nel 1970, non aveva sortito l'effetto desiderato. Il film, salutato con rispetto ma senza entusiasmo all'uscita, è tuttavia un grandissimo film, e lei è magnifica. L'ho rivisto di recente, e lo consiglio ai lettori della comunque utile biografia di Lelait-Helo.
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