domenica 25 aprile 2004
Il mondo intero aspira alla libertà, eppure ogni creatura ama le sue catene. Questo è il primo paradosso e il nodo inestricabile della nostra natura.La libertà non è una cosa che si possa dare; la si deve conquistare e ciascuno è libero quanto vuole esserlo.La festa nazionale della Liberazione mi spinge a riflettere su uno dei temi capitali dell'essere persona, quello appunto della libertà. Lo faccio con due note di autori molto diversi tra loro, che ebbero però nella loro vita una fase di lotta per questa preziosa realtà umana. Il primo è Sri Aurobindo (1872-1950), maestro spirituale indiano che combatté per l'indipendenza del Bengala e che poi si dedicò a integrare l'induismo con la psicanalisi occidentale. Il paradosso che egli segnala nella sua opera Prospettive e pensieri è indiscutibile: molti hanno la bocca piena della parola "libertà", ma contemporaneamente condizionano sottilmente gli altri in mille modi e forse essi stessi sono vincolati dalle catene dell'avere, dell'egoismo, del successo, del vizio.E' per questo che l'altro autore, lo scrittore afro-americano James Baldwin (1924-1987), che si era battuto per i diritti civili delle minoranze negli Usa, dichiara nell'opera Nessuno sa il mio nome che la libertà dev'essere pazientemente conquistata attraverso una liberazione che parte dalle coscienze. Ci può essere, infatti, uno stato esteriore di autonomia che non ha però riscontro nell'anima e nella volontà della persona. Non per nulla è proprio nelle democrazie che a un tasso alto di libertà politica non corrisponde un'altrettanta qualità interiore di indipendenza perché mille sono i condizionamenti subdoli che ottundono la mente e la volontà, il pensiero e le scelte profonde.
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