mercoledì 9 dicembre 2009
«Nella Qabbalah», spiega Gad Lerner, «il vagabondaggio delle anime viene riconosciuto come una legge cosmica, definita con il termine onomatopeico di gilgul, che allude a un vorticoso movimento rotatorio». Superati i cinquant'anni, il giornalista, ebreo nato in Libano, ha intrapreso un viaggio nel gilgul della sua famiglia, e ne offre puntuale resoconto in Scintille. Una storia di anime vagabonde (Feltrinelli, Milano 2009, pp. 224, euro 15).
Interessantissima e composita famiglia, quella di Lerner, nella cui persona confluiscono la dinastia paterna (i Lerner, appunto) e quella materna dei Taragan, più ricca e raffinata: tanto per dire, la madre sottopose l'adolescente Gad alla chirurgia estetica per correggere le orecchie a sventola, retaggio familiare. E lo scenario è tremendo: dallo sterminio nazista degli ebrei nella Galizia originaria dei Lerner, allo strazio delle fazioni che insanguinano il Libano moderno, alla strage israeliana di Sabra e Chatila, alle missioni di pace dell'esercito italiano in quei territori martoriati.
Raccontata in terza persona, ci sarebbe materia per uno dei grandi romanzi di Irène Némirovsky, ma di Némirovsky ce n'è una sola, e non si può farne colpa a Gad Lerner, il quale si esprime in prima persona, mescolando autobiografia e reportage. Ci sono squarci di sincerità imbarazzanti: «Sono cresciuto dall'infanzia alla terza età nel dubbio che prima o poi trapelasse la tara della mia impresentabilità ereditaria. Neanche il benessere e i successi professionali, accidentalmente conseguiti, hanno rimosso quello stato d'animo. Forse è per questo che, dopo aver vissuto una gioventù indigente, ho finito per attribuire un peso eccessivo ai soldi come metro della mia accettazione», confessa Lerner. Questo e altri elementi sono ottimo materiale per lo psicanalista, ma il lettore non psicanalista si trova a disagio nell'apprendere le incomprensioni fra Gad e suo padre, velleitario e sognatore, il disprezzo verso la nonna paterna, sudaticcia e brontolona, che solo nel finale verrà riabilitata. Insomma, quello che, in altre mani, sarebbe potuto diventare un grande romanzo - perché verità e sincerità non sono sinonimi, e la verità ha più a che fare con l'astrazione, che non con la cronaca - qui si riduce a un corposo album di famiglia, inserto fotografico compreso. E sappiamo per dolorosa esperienza che l'album della propria famiglia, che a noi parla dritto al cuore, finisce inevitabilmente per annoiare gli amici con i quali si è incautamente deciso di sfogliarlo, come avviene alla proiezione dei filmini delle vacanze altrui. Tanto più che la famiglia di Gad Lerner è molto numerosa, con tanti nomi di nonni, bisnonni, zii, parenti lontani, difficili da ricordare, e tanti luoghi non immediatamente rintracciabili sulla carta geografica.
Certo, Gad Lerner è un grande giornalista: lo sapevamo e qui ne abbiamo conferma. Le sue analisi sul Libano tuttora diviso tra la dolce vita dell'upper class e le minacce terroristiche, sono precise e condivisibili; e gli fa onore che, da ebreo, sappia riconoscere anche le ragioni dei palestinesi. E nel suo vagabondare tra le anime vagabonde non ritrova propriamente le radici di cui era alla ricerca o, meglio, scopre la propria molteplicità di radici che gli consentono di trovarsi a proprio agio sulle terrazze dei grandi alberghi di Beirut, come nelle foreste dei Carpazi dove avvennero le stragi dei suoi antenati, componendo la giovanile militanza in Lotta Continua con la condivisa ammirazione per il generale Fioravanti, comandante delle forze Unifil in Libano.
Angelo Gugliemi, già direttore di RaiTre a cui Gad Lerner ha dato lustro con applauditi programmi, ha recensito con entusiasmo su La Stampa le «Scintille» dell'amico, rivolgendoglisi direttamente e mettendo in coda questo veleno: la finale riabilitazione della nonna paterna «impreziosisce il libro assicurandogli il buon fine (la consolazione richiesta dal lettore) ma non ti salva dal sospetto che tra gli ingredienti più spesso invidiabili che fanno la tua persona vi è anche (e non in piccola dose) la furbizia mischiata alla crudeltà».
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