sabato 13 aprile 2019
Nel modesto apparta-mento che la mia famiglia occupava a Roma in via Bonifacio VII pendeva sulla parete del salotto una modesta copia del viso di Leonardo da Vinci. Viso che mi sembrava quasi all'ascolto del proprio pensiero, e dove i segni del tempo non esprimevano giovinezza. Nostro padre che leggeva di storia cercò sempre di scoprire anche nei grandi uomini della scienza e dell'arte lo spirito di Dio. E quanto dobbiamo anche al suo amore alla bellezza, all'arte, al sapere l'averci accompagnato, ancora molto giovani e affrontare lo splendore della Vergine delle rocce, l'Adorazione dei Magi, la forza del Cenacolo per aprire poi, con grande attenzione le pagine delle invenzioni della mente dagli orizzonti infiniti di quest'uomo di Firenze del Cinquecento. Pittore, architetto, ingegnere, matematico, anatomista, una delle figure più emblematiche e rappresentative del nostro Rinascimento. Il desiderio di esperienza che gli era nato nel piccolo paese di Vinci, non lo abbandonò tutta la vita né a Firenze, a Milano, o in Francia dove terminò il suo tempo. «La ricchezza della sua anima – notava De Gasperi nel 1952, nel discorso tenuto a Firenze in onore di Leonardo – è tale da non potersi limitare a considerarlo in un suo scritto, in un suo pensiero, ma da doverlo osservare in tutta la sua espansione. Il grande libro dell'Universo che è scritto da Dio, lo convince più di quelli che nella dotta Firenze dei suoi tempi, letterati e filosofi, scrivevano derivando dagli antichi. E poiché il libro dell'Universo è scritto “in lingua matematica e i caratteri sono triangolo, cerchi ed altre figure geometriche”, egli indica la necessità tutta moderna di ordinare il sapere asserendo che non si ha scienza vera» se non si passa per le matematiche dimostrazioni. Questo scienziato in cui si trova di tanto in tanto il moralista che ha parole aspre di condanna per chi opera il male ha sempre presente l'uomo e le sue esigenze nelle proprie indagini scientifiche, essendo per lui la scienza il modo di vincer sulle forze della natura e porle a servizio dell'uomo». Cinquecento anni sono passati e noi ancora ne ricordiamo la figura e ne amiamo l'arte, cerchiamo di comprendere gli infiniti disegni che ci ha lasciato, per noi ancora fonti di ammirazione e di studio. «Questa – disse De Gasperi, a chiusura del suo discorso – è ancora sempre la civiltà sulla cui base si muove il nostro destino. Tale consapevolezza ha fatto osare a me non artista, non scienziato, non uomo di competenza specifica di pronunciare parole di celebrazione... questa e non altra civiltà che abbiamo ereditato dai padri, questo il contributo che ancora sappiamo offrire al progresso del mondo. Questa è la civiltà che è necessario difendere».
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