sabato 13 giugno 2015
«Andare per cantine», suggerisce un depliant nell'albergo di Sacile dove sono ospite e mi assicura che bastano dieci consigli per diventare un vero «enonauta».Si incomincia con il suggerire che per degustare il famoso liquore di Noè è necessario avere un calice in vetro lavato con acqua corrente e soprattutto tenerlo in mano per lo stelo perché non influiscano eventuali profumi. Poi occorre guardare se il vino è limpido e, inclinandolo su un piano bianco, osservarne il colore e la tonalità. Ma non basta: bisogna sentirne il profumo e infine assaggiarne una minima quantità, come un cucchiaino da caffè. Solo dopo qualche minuto prenderne una quantità maggiore, soffermandosi sulle sensazioni: dolcezza, acidità, sapidità o altri gusti amari sul fondo.I consigli naturalmente sono molti di più, ma finiscono con il chiedere di avvicinarci al vino con rispetto perché è costato al produttore tante prove e tante difficoltà per portarlo al massimo delle qualità. Affidabile e vorrei dire gustoso è anche il sapore della cittadina che sorge in mezzo a una splendida campagna dove niente va perduto, dove ogni metro di terra dà il frutto lavorato con amore e passione: Sacile dà un senso di pace e di pienezza delle proprie capacità. Le piazze e le strade offrono improvvisi silenzi mentre i piccoli canali che le attraversano ricordano Venezia, nel ricamo delle finestre dei suoi palazzi.Assieme ad altre città italiane Sacile è in lizza per l'«Oscar della salute» 2015, ora all'ottava edizione. Ogni partecipante ha presentato due progetti; questa piccola città propone anzitutto i «gruppi di cammino» promossi per la salute come stile di vita, poi – cosa più difficile da raccontare ma davvero innovativa – un tipo di tennis studiato per i non vedenti.In questa serena atmosfera il professor Franco Belci ed io siamo invitati a parlare delle nostre famiglie. Affiorano ricordi e diversità, incontri e scontri generazionali descritti da Belci nel suo Tra padri e figli. Io ho preferito scegliere i modesti ricordi della mia prima giovinezza quando – la mano in quella di mio padre – camminavo sui prati e nei boschi scoprendo, attraverso il suo raccontare, il mondo. Allora la pioggia, i tuoni, gli uccelli che disegnavano il cielo, le orme che i caprioli lasciavano nella notte mi aiutarono a conoscere la bellezza, a dare valore alla semplicità, al rispetto delle cose di tutti. La ruvida mantella di loden che avevo per ripararmi dal freddo mi insegnava la sobrietà, letta come cosa giusta e serena per la vita.
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