venerdì 27 gennaio 2017
Nelle settimane di passaggio da un anno all'altro, mi è capitato purtroppo di soffrire qualche lutto – oltre quelli che hanno riguardato tutti, tra terremoti e valanghe. E mi sono stupito della differenza accordata sui quotidiani più importanti (di Roma, Milano, e accessoriamente Torino), per non parlare dei settimanali, a questi morti. Per esempio, molto spazio ai carissimi Claudio Pavone o Tullio De Mauro, e poco o quasi niente a un grande antropologo e ottimo narratore quale Claudio Angioni, che non valeva meno di loro: un sardo a cui i due quotidiani dell'isola hanno dedicato invece, giustamente, tantissime pagine, ricostruendo con sofferta partecipazione il suo percorso di studioso, di artista, di educatore. Non è la prima volta che mi capita di constatare questo iato, questa distanza e differenza. Per esempio, quando l'estate scorsa ho messo insieme con l'aiuto di Cristina Battocletti, friulana, uno degli ultimi numeri de “Lo straniero” dedicato alle “culture di confine”, quelli del Nord-Est e cioè Sud Tirolo e Trentino, Friuli, Trieste e Venezia Giulia (con l'aggiunta di ciò che accade alle spalle di Trieste, in particolare in Slovenia). Molti lettori, solitamente attenti e informati, mi hanno detto o scritto di aver scoperto grazie a quelle pagine l'esistenza di poeti, narratori, studiosi, giornalisti e operatori sociali di cui ignoravano perfino il nome. Preparando quel numero mi è capitato di essere accolto a Udine, a Bolzano, a Trieste con un calore che nasceva dallo stupore di trovare chi, da Roma, era venuto a cercarli, chi sapeva chi erano, chi li leggeva e ascoltava. Un tempo, le capitali della cultura erano in Italia almeno quattro, con Roma e Milano c'erano anche Torino e Firenze, che oggi contano molto meno (esemplare il tentativo di Milano di strappare a Torino, dopo avergli comprato l'Einaudi, anche il Salone del libro). Ma contavano molto anche Napoli, Trieste, Palermo. Oggi si conta se si diventa romani o milanesi, se si entra nel grande salotto, a Roma, della Rai-tv, del cinema, del parlamento, de “la Repubblica” e di altri giornali che “fanno tendenza” (“Il foglio”, “Il fatto”, mentre mi sembrano meno rilevanti “Il messaggero” o “Il tempo” e perfino “il manifesto”), delle tante piccole e medie case editrici fiorite negli ultimi decenni... e a Milano del grande circuito del denaro e dei suoi addentellati, delle grandi case editrici. Anche questa è un modo poco democratico di esercitare un controllo e in molti casi un dominio sul mondo della creazione artistica e dell'informazione. Si conta molto di meno se si rimane in periferia, si tratti pure di periferie importanti come la Sicilia o la Sardegna, come Napoli o Bari. Solo in un'ottica economica e politica è ancora vero che «è meglio essere assessori in provincia che sindaci a Roma».
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