mercoledì 13 dicembre 2017
Ha fatto il giro del mondo la foto dei turisti giapponesi in gondola che, invece di guardarsi intorno, fissavano il proprio smartphone. Ma come, vengono dal Giappone e, anziché ammirare Venezia, si concentrano sullo smartphone? All'inizio c'erano i “viaggiatori”, Samuel Johnson, Vittorio Alfieri, Mark Twain, per non parlar di Goethe, che giravano il mondo con i loro taccuini e con l'album per gli schizzi: poi il turismo è diventato di massa, gregge transumante di persone che, come diceva Emanuele Samek Lodovici (che forse aveva già letto Enzensberger), visitano città e paesaggi per autenticare il dépliant che li ha indotti a partire. Al fenomeno è dedicato il documentato e spiritoso libro di Marco D'Eramo Il selfie del mondo (Feltrinelli, pagine 256, euro 22,00), che notomizza con dati e citazioni questa sociologica realtà, sempre più qualificante e invasiva. La fotografia, da quando è stata inventata, è compagna inseparabile del turista, e la recente variante selfie, sostiene D'Eramo, «esprime un insopprimibile bisogno di confermare la propria esistenza, di lasciare un documento di sé, una traccia del proprio heideggeriano esserci nel mondo».
Ci sono molte specie di turismo: turismo di affari, turismo sportivo (per le Olimpiadi, per la Champions League), turismo religioso, turismo sessuale (purtroppo), turismo medico, anche turismo della morte (eutanasia in Svizzera). In forte crescita il turismo senile, praticato da agiati pensionati. Mi ha sempre divertito la vignetta che mostra una frotta di attempate signore stipate su un belvedere, mentre la guida implora: «Se le signore vogliono per un istante smettere di parlare, potranno sentire il famosissimo, fragoroso scroscio delle cascate del Niagara».
Perfetto e condivisibile il capitolo “Urbanicidio a fin di bene”, sui luoghi tutelati dall'Unesco: «Il tocco dell'Unesco è letale: dove appone il suo label, letteralmente la città muore, sottoposta a tassidermia». L'etichetta dell'Unesco è la griffe dell'imbalsamatore, è lo sforzo di fermare il tempo: «L'Unesco avrebbe starnazzato inorridito di fronte alla Roma del Cinquecento e del Seicento che ha prodotto quell'ammirevole pot-pourri di antichità, manierismo e barocco». Esemplare il caso della città di Dresda, «la Firenze della Germania», che nel 2004 era stata inserita fra i paesaggi culturali Patrimoni dell'umanità: «C'era un problema: i bravi sassoni vogliono poter attraversare l'Elba senza ingorghi e hanno bisogno di un nuovo ponte, ma l'Unesco si oppone alla sua costruzione dicendo che deturpa il paesaggio. La decisione viene affidata a un referendum popolare: gli abitanti di Dresda approvano il ponte anche a rischio di perdere il label Word Heritage, che in effetti gli viene tolto nel 2009. Nell'agosto 2013 i cittadini festanti inaugurano il nuovo ponte con la nostra più convinta approvazione». Speriamo che l'esempio distolga i nostalgici dal riaprire i Navigli nella circonvallazione interna di Milano: anche Gillo Dorfles, dall'alto dei suoi 107 anni (dunque i Navigli d'una volta li aveva già visti), sta cercando di dissuadere.
Di più: «Siccome il passato è stato almeno a un momento un presente, anche il passato ha prodotto mostri e, come si sa, il tempo non è gentiluomo: ha conservato un sacco di cazzate di letteratura classica e ha fatto scomparire chissà quanti capolavori, ci ha privato di tutta la pittura greca, di quasi tutte le statue equestri bronzee antiche…». Senza contare che noi ammiriamo il candore dei templi e della statuaria greca e romana, che in origine erano invece coloratissimi, tanto che a noi sembrerebbero kitsch.
È facile irridere il turismo, e anche Marco D'Eramo era partito così. Ma, strada facendo, ha aggiustato il tiro, perché il turismo è pur sempre l'industria più importante del nostro tempo, e dovrebbe esserlo soprattutto per un Paese come l'Italia. Non è una smentita, è completezza di analisi. Marco d'Eramo, laureato in fisica e poi studioso di sociologia con Pierre Bourdieu, si è fatto le ossa giornalistiche su “Paese sera” e “il manifesto”. Ha scritto molti libri, ed è figlio della compianta Luce D'Eramo, autrice dell'indimenticato Deviazione, sullo sperimentato orrore del Lager di Dachau, prima e dopo.
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