venerdì 16 luglio 2021
In una famosa sala da ballo romana degli anni Cinquanta che, da mediocre amante del liscio, mi è capitato di frequentare (e che fece da sfondo a un documentario di Valerio Zurlini, Serve e soldati), si svolgevano interminabili gare di ballo alle quali non ho assistito ma che riservavano alla coppia che resisteva per ultima non pochi premi anche in natura, bene accetti in un'Italia di grande miseria. Duravano più giorni e più notti, con brevissime pause, e radunavano tifosi accaniti. Le raccontò in un film Luigi Comencini, un regista di cui non si parla più, persona di grande moralità (socialista e di ascendenze valdesi...) e artista che credeva, come pochi altri colleghi, all'educazione del popolo anche coi mezzi del cinema. Con Monicelli, amico e pure lui socialista, e compreso il vituperato Matarazzo dei super-drammi strappalacrime, egli rivendicava una responsabilità d'autore maggiore di quella dei grandi registi alla Antonioni Visconti Fellini, che credevano nell'autonomia della propria arte. Diceva Monicelli che film di successo e “pedagogici” come i suoi e di Comencini facevano procedere di qualche passo la coscienza civile del nostro popolo. Ma torniamo alle massacranti gare di ballo, vinte dalla coppia che resisteva più di tutte man mano che le altre, sfinite, si ritiravano. Queste durissime maratone sono state narrate negli Usa da Horace McCoy in un romanzo del 1935, il primo a scavare nella crudele realtà hollywoodiana, e nel film che ne trasse Sidney Pollack solo nel 1969, Non si uccidono così anche i cavalli? (che era l'invocazione a farsi ammazzare che la protagonista, stremata dalla fatica e dall'avvilimento, faceva al suo partner). Comencini ambientò nel 1952 un film sulle interminabili gare che si svolgevano nelle balere italiane, La tratta delle bianche, un melodramma che legava la gara, per volere degli avidi produttori, a una presunta denuncia del reclutamento di prostitute. Vi recitavano la Rossi Drago e la Pampanini super-dive, con una Loren non ancora tale. Comencini se la cavò egregiamente grazie anche a ottimi sceneggiatori, e trionfò poco dopo con Pane, amore e fantasia, favoletta rurale assai graziosa, e più tardi con i capolavori della commedia all'italiana Tutti a casa e A cavallo della tigre, e con un indimenticabile Pinocchio per la tv. Di quest'uomo probo e gentile, che ho avuto la fortuna di incontrare più di una volta, voglio ricordare che gli unici due grandi film che possiamo definire “del '68” fu lui a dirigerli negli anni Settanta, quando aveva una sessantina d'anni... Sono Lo scopone scientifico (con Sordi e Silvana Mangano e Bette Davis e Joseph Cotten, ma di cui era vera protagonista una bambina) e Delitto d'amore (con la Sandrelli e Giuliano Gemma), decisamente estremisti e decisamente geniali, i più “rivoluzionari” di quegli anni.
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