sabato 28 luglio 2018
Se un marziano iniziasse a leggere i giornali italiani, sperando di capire qualcosa di questo meraviglioso e folle Paese, si chiederebbe subito: cosa diavolo sono le lobby e perché mai sono così citate dai politici nostrani? Avrebbe infatti l'immediata impressione - stando alle interviste e alle prese di posizione dei leader di partito - che l'Italia di oggi sia un Paese dominato da lobby, poteri forti e manovratori occulti, impegnati in servizio permanente effettivo a contrastare politici-eroi che combattono epiche battaglie a favore dei cittadini, ma che sono costretti (quasi sempre) ad arrendersi di fronte alla forza di questi "mostri" sconosciuti e potentissimi.
Una riforma epocale viene aspramente criticata perché rischia di produrre effetti opposti a quelli desiderati? È colpa delle lobby che azionano abili "manine" nei Ministeri-chiave e fanno terrorismo per bloccarla. Una grande città non riesce a gestire in modo efficiente i servizi pubblici locali? La vera causa sono le lobby, che vogliono mantenere situazioni di emergenza per arricchirsi. L'elenco potrebbe essere infinitamente lungo e ricco di strazianti battaglie. Tutte perse dai politici, tutte a causa del solito terribile motivo.
Bisognerebbe avere il coraggio di spiegare al marziano che cercare alibi è lo sport preferito, da sempre, dei nostri rappresentanti politici. E che più complessi sono i mercati da regolare e più difficili sono gli obiettivi da raggiungere, più frequente è il ricorso all'alibi preferito: le lobby, appunto. Perché è facile nascondersi al buio, perché è ancora più facile ostentare un nemico immaginario per celare le proprie debolezze. Peccato che questo approccio sia tipico di una democrazia immatura, nella quale la narrazione vince sui fatti. E in cui è più redditizio politicamente raccontare storielle edificanti che gestire un duro e franco confronto tra interessi contrapposti.
A questo punto, al marziano non sfuggirebbe più una banale quanto controversa verità: le lobby non sono, per definizione, né cattive né buone. Quando non operano legittimamente, sono (prima o poi) oggetto di attenzione delle Procure e dei Tribunali. Ma quando - ovvero nella gran parte dei casi - operano nel rispetto delle regole giuridiche ed etiche, possono indebolire il processo riformatore, ma anche migliorare la qualità della legislazione.
Ciò che fa la differenza è solo la forza della politica. La sua capacità di decidere, distinguendo gli interessi di parte fini a se stessi dalle proposte che possono rafforzare lo sviluppo, la competitività e i livelli occupazionali di un Paese. Ma la capacità di decidere è figlia di visione e di competenze. Entrambe, ahinoi, virtù rare e poco praticate oggi dalla classe politica.
www.francescodelzio.it
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: