giovedì 17 ottobre 2013
Quante volte non sappiamo, e io personalmente non so, mettere sulle larghe spalle di Dio ogni male che ci capita? Non siamo esentati dal gestirceli noi i nostri guai, come possiamo, dentro le umane procedure: con tutta l'intelligenza, tutta la prudenza di cui siamo capaci; facendo appello a ogni nostra esperienza: e all'esperienza del mondo. Ma insieme, dato che sicuramente da soli non ce la caviamo, noi e il mondo, perché non rivolgerci a Lui? Basta farlo, farlo bene, e l'anima si scarica: vedrà Lui. (Si scarica, l'anima, non del tutto, s'intende. Rimane ferita, dolente: ma capace di sopportare, quanto serve; capace d'una nuova, mai provata fiducia). Mettiamo si tratti dei nostri figli (la lingua batte dove il dente duole): be', non sono anche figli Suoi? Più Suoi che nostri? Allora chiamiamoLo in causa come padre: ci pensi Lui, provveda Lui. E tiriamo un sospiro di sollievo: Dio non sbaglierà; ciò che farà sarà bene: sarà anzi il bene. Ma poi non credo occorra chiederGli niente. Basta raccontarGli le cose, dirGli ciò che proviamo. Abituarsi a fare un po' di conversazione con Lui, come con un amico che ci capisce. Che ci capisce sino in fondo, che di noi conosce tutto, proprio tutto: anche ciò di cui noi resteremo per sempre all'oscuro. È facile farlo? No, non è facile.
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