martedì 23 marzo 2004
Il nipote di rabbí Baruk giocava una volta con un altro ragazzo a rimpiattino. Egli si nascose e stette a lungo ad attendere, credendo lo cercasse e non riuscisse a trovarlo. Dopo aver aspettato a lungo, decise di uscire ma non vide nessuno. Capì, allora, che il suo amico non l'aveva mai cercato. Corse, allora, dal nonno piangendo e gridando contro il compagno. Rabbí Baruk, con le lacrime agli occhi, commentò: "Lo stesso dice anche Dio". E' molto fine questa parabola che ho desunto dai Racconti dei Chassidim, la corrente mistica giudaica mitteleuropea sorta nel '700, i cui testi sono stati raccolti dal filosofo Martin Buber. Dio piange come quel bambino perché nessuno lo cerca. Il suo volto è, certo, nascosto, ma non è irraggiungibile; solo che noi siamo troppo presi da altri interessi e distrazioni e non ci preoccupiamo di metterci alla ricerca del mistero di Dio. C'è, dunque, una sofferenza divina ed è quella di non essere amato. In una pagina particolarmente suggestiva un'altra ebrea, la scrittrice francese Simone Weil (1909-1943), dipinge «Dio e l'umanità come due amanti che hanno sbagliato il luogo dell'appuntamento. Tutti e due arrivano in anticipo sull'ora fissata ma in due luoghi diversi. E aspettano, aspettano, aspettano. Uno è in piedi, inchiodato sul posto per l'eternità dei tempi. L'altra è distratta e impaziente. Guai a lei se si stanca e se ne va!». Purtroppo, è proprio questo l'esito della nostra ricerca di Dio: dura lo spazio di un mattino e poi abbiamo altro a cui pensare. Per fortuna c'è anche una decisione di Dio che confessa attraverso Isaia e Paolo (che riprende il profeta): «Io mi sono fatto trovare anche da quelli che non mi cercavano» (Romani 10, 20).

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