sabato 3 settembre 2016
«Ci sono due frasi che mi hanno sempre accompagnato, aiutandomi ad affrontare le circostanze che la vita mi ha messo davanti. La prima l’ho letta a 13 anni, un pomeriggio del 1948: "L’uomo è amministratore dei beni che dispone e non padrone". Ho sentito risuonare queste parole nell’intimo del mio cuore, tanto che anche oggi ne sento più intensamente la profonda verità. Un padrone ragiona solo per il proprio tornaconto e interesse personale, quindi fa scelte di tipo speculativo e non ha preoccupazioni se non per il proprio business. Un amministratore deve invece rendere conto al suo "socio di maggioranza" che gli ha dato i talenti e la forza, quindi non tratta le persone come numeri o oggetti ma cerca di far crescere l’azienda nell’interesse di tutti, comprese le generazioni future».Chi parla è Vittorio Tadei in un discorso tenuto in occasione dei 50 anni della sua azienda. Un imprenditore che ci lasciati pochi mesi fa, fondatore del gruppo Teddy, una delle principali aziende della moda italiane, presente in 43 Paesi nel mondo e con più di 6000 persone, tra dipendenti e collaboratori. Ho avuto la fortuna di conoscerlo alcuni anni fa, a Rimini, durante una presentazione del mio primo libroL’organizzazione perfetta. Fu una serata piacevole, arricchita da un dialogo fitto con i partecipanti, mi colpì però in modo particolare una persona seduta in un angolo della sala, quel suo fare discreto ma attento e le riflessioni a cui mi sollecitava di continuo. Così a fine serata fui io ad avvicinarmi per capire chi fosse e non mi stupì che quel fare umile nascondesse un uomo e un imprenditore di così grande spessore. Ho un ricordo ancora vivido delle cose che mi raccontò e del piacere che provavo nell’ascoltare le sue parole, intrise di sorrisi e di quella serenità che a volte solo la speranza sa donare. Tadei mi parlò, lui già ottantenne, di programmi e di futuro, delle sue persone e di quello che avevano costruito assieme. E mentre mi parlava, sfogliava le pagine del libro, sottolineate con minuzia e arricchite da mille annotazioni, quasi a volermi far sentire parte, per un attimo almeno, del suo sogno: un’impresa che diventa un luogo "sacro" perché animato da una visione e da valori che vanno oltre l’impresa stessa e danno senso e dignità al tempo e alle persone che ne costruiscono l’essenza. Un esempio concreto di quanto le grandi imprese spesso poggino su grandi ideali, perché proprio questi ultimi sanno rendere più grandi le persone.Così è bello, a distanza di anni, ricordarlo con la seconda frase che lui cita nel discorso e che echeggia il pensiero di tante persone che credono nel lavoro come momento fondamentale del proprio cammino di Fede e l’azienda come luogo dove questo può realizzarsi accanto ad altri. «La seconda frase l’ho letta sul muro di un convento dove mi ero fermato per cambiarmi prima di una gara di ciclismo: "A cosa ti giova guadagnare il mondo intero se poi perdi l’anima?". Io che ancora non guadagnavo il becco di un quattrino ne ho subito intuito il fascino: nella mia vita non mi sarei preoccupato di guadagnare ma solamente di essere me stesso, di essere felice. E così è stato perché non ho mai avuto la preoccupazione di fare soldi ma di costruire qualcosa di bello e grande, qualcosa che desse lavoro e aiutasse chi è in difficoltà. Perché l’importante è trovare la propria strada, la propria missione, qualcosa che dia significato alla propria vita».Grazie Vittorio della tua testimonianza, la serberò nel cuore assieme ai volti e alle parole di tante persone che stanno camminando nella tua stessa direzione.
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