sabato 23 giugno 2018
«E la chiamano estate, questa estate, senza te... ». La perla musicale di Bruno Martino descrive benissimo la sensazione di “privazione sentimentale” che stanno provando milioni di italiani, in queste serate Mondiali senza l'Italia (e "Avvenire" l'ha già ben scritto con alcune sue firme). Chi ha meno di sessant'anni (compreso chi scrive) non ha mai vissuto una sensazione simile e vorrebbe non viverla mai più. Proviamo a consolarci con poco: gli arbitri italiani tra i migliori al mondo, il tifo per il campione straniero che gioca nella nostra squadra di club o l'amarcord delle età dell'oro, da Madrid 1982 a Berlino 2006.
Ma sono solo tristi e inutili palliativi. Vince su tutto la nostalgia canaglia. Di quelle strade incredibilmente deserte e silenziose durante le notti magiche degli Azzurri, di quelle moltitudini di amici (spesso vestiti come mai avremmo creduto di vederli) stipati in case traboccanti di tifo, cibo da asporto e bevande per poter sopravvivere a qualsiasi risultato, di quei caroselli per strada e di quei bagni in piazza che solo una Nazionale vittoriosa può spingerti ad osare, perfino di quelle moltitudini di improbabili Ct della Nazionale che il giorno dopo ti spiegavano come avrebbero stravinto la partita decisiva.
Vivere un Mondiale senza l'Italia ha conseguenze imprevedibili, perché non siamo abituati a viverle e a gestirle. Come il dominio assoluto della politica, che trascorsi oltre tre mesi dal voto rimane la regina incontrastata dei dibattiti da bar e da talk show. Prolungando sine die – nei toni e nei contenuti – la triste commedia d'una campagna elettorale che appare inutile e infinita. O come la scarsa voglia di socializzazione degli italiani: i dati Auditel dimostrano che guardano in massa le partite (grazie all'intuito manageriale di Mediaset, che ne ha fatto un ottimo business, e alla bravura dei suoi giornalisti che ci stanno regalando emozioni dimenticate), ma lo fanno chiusi nel loro focolare domestico. Quasi a voler scontare una sorta di punizione collettiva, per le colpe di quella dannata Nazionale che non è riuscita ad evitare l'onta. O come la mancanza d'una genuina passione civile, d'un primordiale entusiasmo di popolo: se l'inno nazionale non risuona in TV, se i nostri eroi non scendono in campo per le loro epiche battaglie di pallone, è come se nell'era della Roma imperiale avessero chiuso all'improvviso il Colosseo.
Non ci resta che attendere l'alba del 16 luglio, quando questo strazio sarà finito. E potremo tornare a sognare, felici e inconsapevoli, i prossimi trionfi Azzurri.
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