mercoledì 17 novembre 2010
Non è un prontuario di bon ton, il manuale di Lucinda Holdforth dal nostalgico titolo Le buone vecchie maniere (Orme, pp. 192, euro 16); non insegna che la banana non si taglia col coltello (così ho appreso da bambino, ma sul punto Armanda Capeder è più tollerante), né come, quando e a chi si può fare il baciamano; insomma, non è un tomo enciclopedico di consigli e di divieti, «utile come fermaporte nelle giornate di vento»: è, si direbbe, una sorta di carta costituzionale delle buone maniere, perché spiega i princìpi, i fondamenti dell'educazione che rende tollerabile, e addirittura piacevole, la vita in società.
Citando Clive Bell, l'autrice considera «il primo passo verso la civiltà la correzione dell'istinto ad opera della ragione; il secondo, il deliberato rifiuto dell'immediata soddisfazione con l'idea di ottenere di meglio».
In definitiva, le buone maniere rispondono al criterio di dominare il proprio egocentrismo per rendere piacevole la vita agli altri. «Controllati, e gli altri ti sopporteranno», aveva già scritto Ezra Pound nel Canto 81.
In nessun punto noioso, il libro è ricco di aneddoti efficaci e quasi sempre spiritosi che indirettamente illustrano l'applicazione delle regole. Certo, le buone maniere devono essere introiettate, devono far parte del proprio modo di essere, non possono essere imposte per legge o per contratto, come avviene con i ragazzi che lavorano nei McDonald's «che sono beneducati con i clienti perché sono pagati per questo»: talvolta una reazione meno controllata verso un cliente maleducato può essere salutare, tanto più che «al momento è dimostrato che la moda dell'educazione in àmbito commerciale non sta creando un cliente più felice, ma solo stressando un discreto numero di lavoratori».
La regola aurea è la «sprezzatura», parola introdotta da Baldessar Castiglione e rilanciata da Cristina Campo ai giorni nostri, che significa qualcosa fra disinvoltura e nonchalance, ironia e autoironia.
Il titolo nostalgico del manuale non deve far pensare a una laudatio temporis acti o a un atteggiamento di conservazione: anzi, l'autrice butta lì un'idea provocatoria: «Che ne direste se, in epoca contemporanea, le buone maniere non fossero conservatrici ma sovversive?».
Strepitose le pagine di polemica contro la moderna obbligatorietà dell'«autostima» che spesso è semplicemente un modo per mascherare la determinazione di fare i propri comodi, e sottile l'osservazione secondo cui nelle democrazie, giustamente fondate sull'uguaglianza, tutti cercano il modo per distinguersi dagli altri.
Lucinda Holdforth, a p. 75, si dichiara cattolica, ma sembra avere idee poco chiare in materia di eutanasia, e dipinge il Rinascimento come una specie di reazione «alla dottrina dell'imperante Chiesa Cattolica» (forse questa è l'immagine del Rinascimento che viene data nelle università australiane frequentate dall'autrice). Nonostante queste piccole mende, del resto marginali, il libro è simpatico e utile, e non si può non essere d'accordo con l'ottalogo riassuntivo delle buone maniere: «1. Tenere la sinistra (o la destra, a seconda delle regole); 2. Tener fede alla parola data, soprattutto sull'orario; 3. Attendere il proprio turno; 4. Prendersi cura dei più deboli; 5. Rispettare leggi e regolamenti, a meno che non si stia organizzando una campagna di disobbedienza civile; 6. Fare attenzione a ciò che si sta facendo: il multitasking è il nemico delle buone maniere; 7. Apprezzare manifestamente i gesti gentili degli altri; 8. Tacere, la maggior parte del tempo».
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