martedì 22 ottobre 2019
Da quasi un quarto di secolo l'Unione Europea ha sancito solennemente l'importanza del dialogo nord-sud, riconoscendo la centralità del Mediterraneo per garantire anche a se stessa uno sviluppo equilibrato e pacifico. Fu avviato infatti nella Conferenza di Barcellona, a fine novembre del 1995, quel "processo" che prese il nome dalla capitale catalana e che, per la prima volta nella storia, puntava a fare delle nazioni del Vecchio Continente e di quelle nordafricane e mediorientali i protagonisti di un vero "partenariato euromediterraneo". Al progetto aderirono gli allora 15 Paesi membri della Ue e 12 stati affacciati sulle sponde di sud-est. In quell'occasione, l'allora ministro degli esteri spagnolo Javier Solana parlò di una chance storica per lasciarsi alle spalle secoli di contrasti e guerre sanguinose.
Negli anni successivi l'Europa si è allargata, mentre i ricorrenti conflitti israelo-palestinesi hanno ostacolato a più riprese il decollo del "processo di Barcellona". Nel 2008, per iniziativa di Nicolas Sarkozy, si decise di rilanciare la partnership, dando vita a Parigi all'Unione per il Mediterraneo, sul modello della Ue che nel frattempo era arrivata a 28 Paesi membri. Ad essi si affiancarono nel progetto, con pari dignità e status, 15 stati rivieraschi, più la Lega Araba. L'UpM è anche riuscita a darsi una struttura istituzionale ben articolata, con una co-presidenza paritaria (l'Alto Rappresentante per la politica estera per parte europea e un esponente del regno di Giordania per il versante sud-est), un Segretariato generale (oggi affidato all'egiziano Nasser Kamel) e un'Assemblea parlamentare presieduta a rotazione, a sua volta dotata di un Segretaria permanente con sede a Roma.
Ma che cosa ha prodotto questa proliferazione di organismi? I più scettici rispondono: poco o nulla. In effetti, le speranze accese dieci anni fa si sono in buona parte infrante prima contro gli scogli della grande crisi finanziaria mondiale e poi a causa degli sconvolgimenti prodotti dalle primavere arabe, con i conseguenti conflitti. Basti pensare che lo stesso Sarkozy promotore del rilancio del partenariato si è assunto, tre anni dopo, la grave responsabilità di scatenare il disastro libico, cercando poi di estendere l'incendio bellico in Siria assieme a Gran Bretagna e Stati Uniti e non riuscendovi anche grazie agli sforzi pacificatori di Papa Francesco.
L'ultima amara conferma di questo susseguirsi di speranze e frustrazioni è recentissima. Il 10 ottobre scorso, di nuovo a Barcellona, nella totale disattenzione dei mass media, i 43 ministri degli esteri dell'Unione mediterranea si sono riuniti per il 4° Forum regionale, sottoscrivendo un appello unanime a promuovere con più coraggio l'integrazione e lo sviluppo nei territori di comune interesse. Ma proprio nelle stesse ore, le truppe di uno dei Paesi firmatari, la Turchia di Erdogan, stavano mettendo a ferro e fuoco il nord della Siria, a sua volta partner mediterraneo e rappresentato al tavolo del Forum.
Eppure, se le armi tacessero, buone idee e concrete iniziative non mancherebbero. Pochi sanno che l'UpM è riuscita in questi anni a dar vita a una ricca agenda di circa 60 progetti e imprese comuni alle due aree, in particolare in materia energetica, ambientale e culturale, anche grazie a una dotazione di 5 miliardi e mezzo di euro stanziati dalla Ue. La più recente dimostrazione che, con la pace, si otterrebbero preziosi risultati sono le prime lauree conseguite in estate da alcune decine di studenti dell'università euro-mediterranea di Fez, in Marocco, un ateneo figlio dell'Unione e "gemello" di uno analogo creato nel 2008 in Slovenia. Mentre segna il passo la realizzazione del dissalatore per la Striscia di Gaza. Dove non a caso si continua a sparare.
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