mercoledì 1 aprile 2015
Davvero monumentale l'analisi della poesia del Novecento che Giuliano Ladolfi ha articolato in cinque volumi pubblicati dalla casa editrice di Borgomanero che porta il suo nome. Il titolo complessivo spiega bene l'angolazione critica dell'impresa: La poesia del Novecento dalla fuga alla ricerca della realtà, e su tutte le copertine ci sono immagini di scale a pioli, varie di numero e di posizionamento. Il primo volume, Dal decadentismo ai nostri giorni (pp. 198, euro 15), delinea l'impostazione generale e contiene specifiche introduzioni agli altri quattro. È la summa del lavoro ventennale compiuto da Atelier, la rivista fondata da Ladolfi con l'aiuto, in primis, di Marco Merlin, suo brillantissimo allievo al liceo e poi sodale e complice nell'avventura, tuttora in progress, della rivista. È un lavoro di militanza critica, estraneo all'accademismo pedantesco, basato su tre fondamentali obiettivi: «Studiare il variegato e contraddittorio panorama della poesia contemporanea; fondare un pensiero estetico capace di illuminare il caos della critica; promuovere autori di valore, soprattutto giovani, senza alcun atto di sudditanza ai poteri costituiti». Ambizioso programma, perseguito con risultati già soddisfacenti.La prima sorpresa viene dall'originalissima, periodizzazione di Ladolfi che fa durare il Decadentismo dal 1870 al 1970, sia pure in due tranches: dal 1870 al 1918, primo Decadentismo; dal 1918 al 1970, secondo Decadentismo. Francesco Flora definiva il Decadentismo come «romanticismo d'occaso, perché esso provoca la rottura definitiva della visione piramidale e gerarchica che dall'essere inanimato attraverso l'uomo giunge fino a Dio». Più esplicitamente, per Ladolfi il Decadentismo «rappresenta il momento storico in cui la civiltà occidentale assume la consapevolezza della crisi in cui si dibatte da parecchi secoli». Il poeta decadente è un uomo spaesato in un mondo che non capisce o che ha rinunciato a capire e ne rifugge magari costruendo un castello linguistico come hanno fatto sia i Futuristi e le Avanguardie del primo Novecento, sia la Neoavanguardia degli Anni Sessanta: «La cosiddetta "svolta linguistica", nella seconda parte del secolo scorso, invece di trarre insegnamenti dai tragici avvenimenti dei totalitarismi retorici e persuasivi, sanzionò filosoficamente e culturalmente la frattura tra parola e realtà».Già da queste premesse si potrebbe imbastire un'ampia discussione. Ma qui non posso che limitarmi a segnalare gli altri quattro volumi, formati da saggi monografici su singoli autori. Il tomo secondo, intitolato Il Novecento, è il più corposo (pp. 482, euro 20), e si occupa di Carlo Michelstaedter, Corrado Govoni, Sergio Corazzini, Guido Gozzano, Aldo Palazzeschi, Camillo Sbarbaro, Dino Campana, Salvatore Quasimodo, Giuseppe Ungaretti, Eugenio Montale, Antonio Porta, Amelia Rosselli, Giovanni Giudici, Andrea Zanzotto, e scusate se è poco.Vedere Porta, Rosselli e Zanzotto in un elenco che comprende Govoni, Gozzano e Corazzini può fare sobbalzare, invece si tratta di una scelta coerente con il Decadentismo ladolfiano inteso come fuga dalla realtà. E l'aver estrapolato Antonio Porta dalla Neoavanguardia è un atto critico consentito ha chi possiede un bisturi filologico bene affilato. Quanto a qualificare Zanzotto come «flâneur linguistico» denota l'audacia di un critico veramente libero.Ma il Novecento nutre anche un Antinovecento, ed ecco il terzo volume (pp. 274, euro 15), dedicato a Umberto Saba, Clemente Rebora, Carlo Betocchi, Cesare Pavese, Giorgio Caproni, Sandro Penna, Rocco Scotellaro, Pier Paolo Pasolini, Franco Fortini, Attilio Bertolucci. Sono poeti che in qualche modo hanno accettato una contaminazione con la realtà (quindi antinovecenteschi perché antidecadenti), ciascuno dei quali meriterebbe un discorso a sé. Ma ormai mi devo fermare, rimandando alla prossima settimana la segnalazione dei tomi quarto e quinto, rispettivamente dedicati a I Maestri in luce e in ombra, e a L'età globalizzata.
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